- Disciplina: Endocrinologia
- Specie: Cane
Nel 1855, il medico inglese Thomas Addison (Fig. 1) descrisse, per la prima volta nell’uomo, una sindrome clinica associata a una disfunzione di due piccole ghiandole poste in prossimità dei reni (ghiandole surrenali). In suo onore a questa sindrome venne dato il nome di “Morbo di Addison”. La prima segnalazione di una forma di insufficienza surrenalica nel cane risale al 1953. Soltanto 30 anni più tardi (1983) la patologia venne segnalata per la prima volta nel gatto. L'ipoadrenocorticismo, o Morbo di Addison, è una patologia poco comune nel cane (ancora più rara nel gatto) con una prevalenza stimata dello 0,06-0,28%. Esso è caratterizzato da una insufficiente produzione di mineralcorticoidi e/o di glucocorticoidi da parte della sostanza corticale delle ghiandole surrenali. Può essere classificato in una forma primaria (circa il 95% dei casi), causata da una distruzione di entrambe le ghiandole surrenali conseguente, nella maggior parti dei casi, a un meccanismo autoimmune, e in una forma secondaria causata da una ridotta secrezione dell’ormone trofico specifico (ormone adrenocorticotropo o ACTH) da parte dell’ipofisi.
I sintomi compaiono solitamente quando almeno il 90% del tessuto corticale delle surrenali risulta compromesso e possono manifestarsi in modo subdolo e progressivo o rapido ed improvviso. Poiché le manifestazioni cliniche sono comuni a moltissime altre patologie, l’ipoadrenorticismo viene anche definito “il grande imitatore”. Nonostante il quadro sintomatologico sia ampio ed aspecifico, il protocollo diagnostico risulta di semplice esecuzione e il trattamento, se intrapreso in modo corretto, permette di assicurare al paziente una prognosi del tutto favorevole.
EZIOLOGIA
Le surrenali sono due piccole ghiandole ad attività endocrina situate in prossimità dei reni. Esse sono costituite da una porzione più interna, detta midollare, che secerne catecolamine e da una porzione più esterna, detta corticale. Quest’ultima è a sua volta suddivisa, da un punto di vista istopatologico, in tre strati che procedendo dall’esterno verso l’interno sono: la zona glomerulare responsabile della produzione di mineralcorticoidi (aldosterone), la zona fascicolata deputata alla sintesi di glucocorticoidi (cortisolo) e la zona reticolare nella quale vengono prodotti androgeni (Fig 2).
L'ipoadrenocorticismo deriva da un'alterazione, spontanea o iatrogena, dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene a cui consegue una insufficiente produzione di glucocorticoidi e/o mineralcorticoidi. Queste due categorie di ormoni sono assolutamente indispensabili per l’organismo ed una loro carenza è potenzialmente fatale per il paziente. In base alla localizzazione del problema si può parlare di forma primaria (surrenalica) o secondaria (ipofisaria).
Nella Tabella 1 è riassunta la classificazione eziologica della patologia indicando inoltre, per ogni condizione, quale componente ormonale risulta compromessa.
Raramente l'ipoadrenocorticismo può essere associato a una o più disendocrinie quali l'ipotiroidismo, il diabete mellito o l'ipoparatiroidismo. In questi casi si parla di "sindrome polighiandolare autoimmune".
Ipoadrenocorticismo primario
L’ipoadrenocorticismo spontaneo primario “classico” è la forma più frequente (circa il 95% dei casi) ed è il risultato di un'atrofia o, più frequentemente, di una distruzione immunomediata dei tre strati della corticale delle ghiandole surrenali, con conseguente inadeguata secrezione di mineralcorticoidi e glucocorticoidi. La patologia si rende clinicamente manifesta solo quando circa il 90% del tessuto della corteccia surrenalica risulta compromesso.
Altre possibili cause che possono determinare distruzione della zona corticale, sebbene meno comuni, includono alcune patologie granulomatose (e.g. istoplasmosi, blastomicosi, criptococcosi), l’amiloidosi, lesioni ischemiche da infarti emorragici locali e neoplasie metastatiche (carcinomi polmonari, mammari, prostatici, gastrici e pancreatici, o melanomi).
Inoltre, tra le cause iatrogene si annoverano alcuni farmaci, quali mitotane e trilostano, utilizzati per il trattamento dell’ipercortisolismo (sindrome di Cushing) nel cane. Il mitotane è un farmaco adrenocorticolitico che determina principalmente necrosi della zona fascicolata e reticolare, ma può interessare anche la zona glomerulare; pertanto la malattia può manifestarsi con sola carenza di glucocorticoidi o di glucocorticoidi e mineralcorticoidi (circa il 5% dei casi). Il trilostano è uno steroide di sintesi, privo di attività glucorticoide e mineralcorticoide, che agisce come adrenocorticostatico inibendo in modo competitivo l’enzima 3β-idrossisteroido-deidrogenasi. Tramite la sua azione il farmaco è in grado di ridurre la produzione di cortisolo in cani affetti da sindrome di Cushing. Raramente il farmaco può causare necrosi della corticale delle surrenali e conseguente ipoadrenocorticismo. Si suppone che la necrosi surrenalica, in corso di terapia con trilostano, sia conseguente alle elevate concentrazioni di ACTH circolante.
L’ipoadrenocorticismo spontaneo primario “atipico”, o senza inversione elettrolitica, rappresenta circa il 10% dei casi di ipoadrenocorticismo primario. È caratterizzato dall'assenza di alterazioni elettrolitiche e si suppone sia causato da un danno esclusivamente a carico della porzione della corteccia surrenalica secernente i glucocorticoidi (zona fascicolata).
Ipoadrenocorticismo secondario spontaneo
L’ipoadrenocorticismo secondario, invece, è più raro rispetto alla forma primaria ed è causato dall’incapacità di secernere l’ormone trofico specifico (ACTH) da parte dell’ipofisi; nel cane, come nell’uomo, questa condizione è generalmente conseguente a processi neoplastici, meno comunemente a problemi infiammatori o traumatici. Il mancato stimolo da parte dell’ACTH determina l’atrofia della zona fascicolata e, conseguentemente, una carenza di glucocorticoidi ma conservata produzione di mineralcorticoidi. La misurazione dell’ACTH endogeno risulta fondamentale per distinguere l’ipoadrenocorticismo secondario da una forma primaria atipica (senza inversione elettrolitica). L’ACTH endogeno infatti risulterà basso nel caso della forma secondaria, mentre sarà elevato nella forma primaria atipica.
Ipoadrenocorticismo secondario iatrogeno
L’insufficienza surrenalica secondaria iatrogena conseguente alla somministrazione di glucocorticoidi esogeni rappresenta un fenomeno comune nel cane e molto importante da un punto di vista clinico. Infatti, il trattamento protratto con glucocorticoidi inibisce l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (hypothalamus-pituitary-adrenal, HPA) e può quindi comportare atrofia surrenalica secondaria (Fig. 3).
La sensibilità individuale ai glucocorticoidi è molto variabile: in alcuni individui l’atrofia della corticale si instaura dopo pochi giorni di trattamento, in altri individui questo non accade. La soppressione dell’asse HPA può persistere per settimane o mesi dopo la sospensione dei glucocorticoidi, a seconda della dose, della preparazione sintetica, della durata del trattamento e della sensibilità individuale. Solitamente l’insufficienza surrenalica iatrogena si verifica in seguito a terapie croniche; è stata documentata non solo con glucocorticoidi iniettabili e orali, ma anche con farmaci ad uso topico (e.g., colliri, unguenti o shampoo). Pertanto, l’esecuzione di test di funzionalità surrenalica in soggetti sottoposti a terapie con glucocorticoidi deve essere posticipata da un minimo di 48 ore (nel caso di una singola somministrazione di prednisone o prednisolone) fino a 6-8 settimane dalla sospensione del farmaco (nel caso di preparazioni deposito a rilascio prolungato) per poter garantire una interpretazione corretta dei risultati. In caso di protocolli terapeutici con durata superiore o uguale a due settimane o che prevedano l’utilizzo di dosi elevate (> 1 mg/kg di prednisolone/die o suo equivalente) la riduzione dei glucocorticoidi deve sempre essere attuata in modo graduale; questo infatti permette alle cellule ipofisarie secernenti ACTH e alle cellule corticosurrenaliche di riprendere la loro funzione. Per informazioni più dettagliate sull’uso corretto di questa classe di farmaci si rimanda alla scheda “Terapia glucocorticoidea”.
L’ipofisectomia transfenoidale per il trattamento di adenomi ipofisari rappresenta un altro esempio, sebbene meno comune, di ipoadrenocorticismo secondario iatrogeno.
SEGNALAMENTO
Nel cane l’ipoadrenocorticismo ha una prevalenza che si aggira approssimativamente tra lo 0,06% e lo 0,28%. La patologia può colpire soggetti di tutte le età, tuttavia è più frequente in animali giovani e di mezza età (età mediana 4 anni, range 4 mesi – 14 anni). L'ipoadrenocorticismo può manifestarsi in qualsiasi razza, tuttavia alcune razze presentano un'incidenza maggiore (Tabella 2).
Una predisposizione genetica-ereditaria è stata individuata in alcune razze canine, quali ad esempio il Cane d'acqua portoghese, il Barbone, il Nova Scotia Duck Tolling Retriever e il Bearded Collie. Ad eccezione di queste razze, per le quali non è stata dimostrata una predisposizione di sesso, nella popolazione generale è stata individuata una predisposizione per il sesso femminile (circa del 70%) e una probabilità 3 volte maggiore per i soggetti sterilizzati (sia maschi che femmine) rispetto ai soggetti interi di contrarre la malattia.
ANAMNESI E VISITA CLINICA
Nei cani con ipoadrenocorticismo i segni clinici possono presentarsi in maniera acuta oppure, in altri pazienti, i sintomi appaiono episodici e altalenanti. Il numero e la gravità dei segni clinici, nonché la velocità di progressione della patologia, variano da soggetto a soggetto. I sintomi sono assolutamente aspecifici e possono aggravarsi in concomitanza di eventi stressanti. I segni clinici più frequentemente riferiti dai proprietari sono quelli secondari alla carenza glucocorticoidea (e.g. anoressia/disoressia, vomito e diarrea, letargia/depressione, astenia). Quando presente anche carenza mineralcorticoidea, i sintomi clinici tendono ad essere più gravi (e.g. poliuria/polidipsia più intensa, grave disidratazione fino al collasso e shock ipovolemico). Allo stesso modo, anche i reperti dell’esame clinico sono estremamente vaghi e aspecifici, facilmente confondibili con quelli di altre patologie (e.g. letargia, debolezza, disidratazione, dolore addominale, bradicardia, polso debole, ipotermia, ridotto tempo di riempimento capillare e altri segni di shock ipovolemico). L'ipotensione è un riscontro frequente nei soggetti affetti da ipoadrenocorticismo. I sintomi e rilievi clinici che si possono osservare in cani con ipoadrenocorticismo sono elencati in Tabella 3.
RILIEVI LABORATORISTICI
Esame emocromocitometrico
Le alterazioni clinicopatologiche di possibile riscontro all’esame emocromocitometrico includono una lieve anemia normocromica, normocitica, non rigenerativa (nel 21-25% dei soggetti) e, decisamente più comune, l’assenza del “leucogramma da stress” (nel 90% circa dei casi). L’assenza del “leucogramma da stress” in un paziente debilitato deve far sospettare la presenza di un ipoadrenocorticismo, soprattutto nella forma atipica nella quale l'assenza di alterazioni elettrolitiche rende più difficile il sospetto della patologia. Un'eosinofilia si riscontra nel 10-20% dei casi ed una linfocitosi nel 10-13% dei pazienti.
Alterazioni elettrolitiche
Le alterazioni elettrolitiche caratteristiche del morbo di Addison sono conseguenti alla carenza di aldosterone. L’iperkaliemia (95%) e l’iponatremia (81%), con conseguente riduzione del rapporto Na:K, sono decisamente le alterazioni più frequenti in corso di ipoadrenocorticismo ma non devono essere considerate patognomoniche perché possono essere presenti anche in corso di altre condizioni patologiche (Tabella 4). Inoltre, l'assenza di tali reperti non deve portare ad escludere l'ipoadrenocorticismo dalla lista delle diagnosi differenziali in quanto la forma “atipica” e quella secondaria non sono caratterizzate da tali alterazioni elettrolitiche. Ipocloremia, iperfosfatemia e ipercalcemia sono dei reperti meno comuni ma di possibile riscontro.
Profilo biochimico: Per quanto riguarda le altre alterazioni clinicopatologiche che si possono evidenziare al profilo biochimico, le più frequenti sono senza dubbio quelle relative alla funzionalità renale. L’incremento di urea e creatinina è solitamente dovuto allo stato di ipovolemia, ipotensione e ridotta perfusione renale. Talvolta, inoltre, l’incremento dell’urea può essere più grave rispetto a quello della creatinina in corso di sanguinamenti del tratto gastroenterico. Nonostante l’iperazotemia pre-renale in questi animali il peso specifico urinario è nella maggior parte dei casi inadeguato; l’iponatremia infatti determina una riduzione dell’ipertonicità della midollare renale e quindi una incapacità di concentrare le urine. Ulteriori alterazioni al profilo biochimico, sebbene meno frequenti, includono: ipoglicemia, ipoalbuminemia, ipocolesterolemia e aumento dell’attività degli enzimi epatici.
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
Radiografia del torace
I cani con ipoadrenocorticismo possono mostrare segni radiografici di ipovolemia, quali microcardia (Fig. 4), ridotte dimensioni dei vasi arteriosi polmonari, riduzione del diametro della vena cava caudale e microepatia.
Talvolta è possibile rilevare megaesofago o dilatazione esofagea. Il meccanismo patogenetico responsabile di tale alterazione non è ben chiaro ma si è ipotizzato un ruolo degli squilibri elettrolitici sul potenziale di membrana e sulla funzionalità neuromuscolare oppure una debolezza muscolare secondaria alla carenza di cortisolo.
Ecografia addominale
Attraverso l'ecografia addominale è possibile evidenziare una diminuzione della lunghezza e dello spessore delle surrenali, tuttavia le loro dimensioni in soggetti con ipoadrenocorticismo possono talvolta risultare simili a quelle di un animale sano. Inoltre, le ghiandole surrenali, anche in cani sani, sono difficili da visualizzare in maniera ottimale a causa delle loro piccole dimensioni, e lo sono ancora di più in corso di morbo di Addison poiché atrofiche. In uno studio condotto su 30 cani con ipoadrenocorticismo, è stato possibile rilevare una ghiandola surrenale sinistra di spessore inferiore a 3.2 mm nel 97% dei casi (28/29); questo cut-off permetteva inoltre di discriminare, nella maggior parte dei casi, i cani con ipoadrenocorticismo dai cani sani e da quelli con altre patologie. Ciononostante, è opportuno tenere presente che il rilievo di ghiandole surrenali di dimensioni ridotte non permette di confermare la patologia, così come l’identificazione di ghiandole surrenali normali non esclude la diagnosi di ipoadrenocorticismo.
ELETTROCARDIOGRAMMA (ECG)
Nei cani con iperadrenocorticismo è possibile il rilievo di una bradicardia, la quale deve far sospettare la presenza di un disturbo di conduzione cardiaca scatenato dall'iperpotassiemia. L’eventuale presenza e la gravità delle anomalie elettrocardiografie è strettamente correlata al grado di iperpotassiemia. Inoltre, altri fattori come iponatriemia, ipercalcemia, acidosi ed ipoperfusione tissutale possono influenzare l’attività cardiaca. Tuttavia, la frequenza cardiaca può risultare normale qualora le concentrazioni di potassio non siano abbastanza elevate da causarne una diminuzione e/o qualora essa sia aumentata dall'azione simpatica scatenata dallo shock ipovolemico; pertanto l'ECG in un paziente con ipoadrenocorticismo può essere normale o mostrare gravi alterazioni, quali:
- bradicardia
- disturbi di conduzione
- ritmo sinoventricolare
- tachiaritmia
- fibrillazione ventricolare
- asistolia
DIAGNOSI
Cortisolemia basale
Diversi studi hanno cercato di indagare se la cortisolemia basale potesse da sola rappresentare un parametro affidabile per giungere alla diagnosi definitiva di morbo di Addison. È stato dimostrano che un valore di cortisolo basale inferiore a 2 μg/dl ha una sensibilità del 100% ma una specificità inferiore (dal 63 al 78,2%) nel rilevare soggetti affetti dalla patologia. Difficilmente un soggetto affetto da ipoadrenocorticismo avrà una cortisolemia basale superiore a 2 μg/dl. La misurazione del solo cortisolo basale, tuttavia, non è sufficiente per emettere la diagnosi di ipoadrenocorticismo perché alcuni cani sani o affetti da altre patologie (soprattutto malattie gastroenteriche) possono avere dei valori di cortisolo basale inferiore a 2 μg/dl. Di conseguenza, la valutazione della cortisolemia basale può essere considerato un buon test di screening per escludere l'ipoadrenocorticismo, tuttavia è necessario effettuare il test di stimolazione con ACTH e la misurazione dell’ACTH endogeno per confermare la diagnosi della patologia.
Test di stimolazione con ACTH
Il test di stimolazione con ACTH è considerato attualmente il “gold standard” per la diagnosi di ipoadrenocorticismo poiché valuta la capacità delle surrenali di produrre cortisolo in seguito ad uno stimolo massimale. È un test semplice e di facile esecuzione. L’esecuzione del test prevede due prelievi ematici per la determinazione sierica del cortisolo subito prima (cortisolo basale) e un’ora dopo (cortisolo post-ACTH) la somministrazione endovenosa o intramuscolare di 5 µg/kg di ACTH sintetico (tetracosactide esacetato) (Fig. 5).
I valori fisiologici di cortisolemia basale oscillano tra 0,5 e 5,5 µg/dl e quelli post-ACTH tra 5 e 17 µg/dl; il riscontro di livelli post-stimolazione al di sotto di 2 µg/dl permette di confermare la diagnosi della patologia.
Si rammenta che il test deve sempre essere effettuato prima di intraprendere la terapia con glucocorticoidi; Tuttavia, se le condizioni cliniche del paziente richiedono la somministrazione immediata di glucocorticoidi, la molecola da scegliere è il desametasone poiché è l’unica che non altera i risultati. È inoltre importante ricordare che la somministrazione di glucocorticoidi (pertanto anche di desametasone) nei giorni precedenti al test, sopprimendo la fisiologica attività surrenalica, è in grado di determinare dei risultati falsi positivi; per cui è sempre opportuno indagare bene l’anamnesi di ogni soggetto prima di effettuare il test. Il limite maggiore di questo test consiste nel fatto che, nei soggetti in cui non si evidenziano alterazioni elettrolitiche, non permette di discriminare l’ipoadrenocorticismo primario atipico dall’ipoadrenocorticismo secondario. Per tale ragione è di fondamentale importanza associare sempre la misurazione della concentrazione di ACTH endogeno al test di stimolazione con ACTH.
ACTH endogeno
La misurazione della concentrazione di ACTH endogeno permette di distinguere un ipoadrenocorticismo primario da uno secondario: soggetti con forma primaria presentano ACTH endogeno elevato (>25 pg/ml), quelli con ipoadrenocorticismo secondario, invece, hanno valori di ACTH endogeno al di sotto dell’intervallo di riferimento (<10 pg/ml). Il maggior limite di tale determinazione risiede nel fatto che l'ACTH è un ormone estremamente labile. Pertanto, il campione deve essere raccolto in provette di silicone contenenti EDTA come anticoagulante, deve essere centrifugato rapidamente dopo il prelievo (idealmente con centrifuga refrigerata) ed inviato congelato al laboratorio che ne effettua la misurazione.
Inoltre, la misurazione dell’ACTH endogeno può risultare estremamente utile nel discriminare cani con ipoadrenocorticismo primario da soggetti con sospetto ipoadrenocorticismo iatrogeno. In questi ultimi, infatti, l’assunzione di glucocorticoidi può determinare la soppressione della normale attività dell’asse HPA, determinando dei risultati falsi positivi al test di stimolazione con ACTH.
Recenti studi hanno infine evidenziato che il rapporto cortisolo:ACTH potrebbe costituire un test diagnostico valido in corso di ipoadrenocorticismo primario in sostituzione al test di stimolazione con ACTH, con il vantaggio di necessitare di un solo prelievo di sangue ed evitare i costi dell’ACTH sintetico. Tuttavia, non è stata attualmente indagata l’utilità di questo test in corso di ipoadrenocorticismo secondario.
TERAPIA
L’approccio terapeutico all’ipoadrenocorticismo dipende dal fatto che il paziente si presenti in crisi surrenalica (crisi addisoniana) o con segni clinici indicativi di malattia cronica ma emodinamicamente stabile.
TERAPIA CRISI ADDISONIANA
La crisi addisoniana è una condizione pericolosa che richiede un trattamento immediato poiché un ritardo sulle misure terapeutiche, ad esempio in attesa dei risultati di laboratorio, può risultare fatale per il paziente. Gli obiettivi della terapia d’urgenza sono la correzione dell’ipotensione, dell’ipovolemia, degli squilibri elettrolitici (in particolare il trattamento dell’iperkaliemia), dell’acidosi metabolica, dell’ipoglicemia e, quando presente, dell’anemia. Pertanto, i punti salienti della terapia consistono nella scelta di una adeguata fluidoterapia, in una corretta integrazione ormonale, nella gestione dell’iperkaliemia e delle terapie di supporto (Fig. 6).
La fluidoterapia costituisce un punto cruciale nella terapia della crisi addisoniana poiché il trattamento dello shock è prioritario in questi soggetti. La scelta di una fluidoterapia idonea alle esigenze del paziente riesce, generalmente, a correggere in parte le alterazioni elettrolitiche che ne mettono a rischio la vita.
È opportuno applicare un catetere endovenoso a livello della vena giugulare o cefalica. Prima di procedere alla somministrazione di qualsiasi farmaco o fluido, andrebbe raccolto un campione di urine ed eseguito un prelievo venoso per le determinazioni ematobiochimiche di base e per la misurazione del cortisolo basale. A questo punto si procede con l’esecuzione del test di stimolazione con ACTH per valutare la riserva surrenalica e contemporaneamente si inizia la fluidoterapia. La soluzione fisiologica (cloruro di sodio allo 0,9%) rappresenta il fluido di scelta in questa fase della patologia. Tale cristalloide, infatti, oltre a correggere ipovolemia ed ipotensione, contrasta l’iponatremia e l’ipocloremia (fornendo sodio e cloro), riduce inoltre l’iperkaliemia sia per semplice diluizione (poiché non contiene potassio), sia migliorando la perfusione renale e la filtrazione glomerulare (più potassio viene così escreto dai reni). Possibili svantaggi conseguenti all’utilizzo di questo fluido sono il suo potenziale effetto acidificante e il rischio di indurre un troppo rapido incremento della natremia con conseguente grave stress osmotico a carico delle cellule celebrali. Vanno quindi monitorati attentamente i livelli di sodio durante la terapia della crisi addisoniana, limitando la sua crescita ad un massimo di 10-12 mEq/L/giorno evitando l’utilizzo di soluzioni saline ipertoniche.
Nei pazienti ipotesi e ipoprotidemici può essere preso in considerazione l’utilizzo di colloidi da somministrare in bolo alla dose di 5 ml/kg in 30 minuti. Nella fase iniziale della terapia, lo shock va trattato con l’infusione di soluzione fisiologia in boli da 20-30 ml/kg in 20 minuti fino a quando il paziente non risulta emodinamicamente stabile (fino a 60-90 ml/kg/h nelle prime 1-2 ore). Una volta che il paziente si presenta stabile e l’ipovolemia si è risolta si può passare a una fluidoterapia che tenga conto del fabbisogno di mantenimento, della percentuale di disidratazione e delle perdite conseguenti a vomito/diarrea e alla poliuria/polidipsia. La soluzione fisiologica può essere sostituita con soluzione di Ringer nel momento in cui le concentrazioni elettrolitiche sieriche siano tornate nei range fisiologici (solitamente dopo 12-24 ore di terapia). Infine, se si sospetta o si è certi di una condizione di ipoglicemia, è opportuno integrare alla fluidoterapia del destrosio al 50%, in modo da ottenere una soluzione che abbia una concentrazione finale di destrosio pari al 5%.
Supplementazione ormonale
Non appena prelevato il campione ematico necessario per rilevare la cortisolemia post-stimolazione con ACTH, si può intraprendere la terapia glucocorticoidea e mineralcorticoidea. È di grande importanza tenere presente che le dosi di corticosteroidi generalmente raccomandate devono essere da 3 a 10 volte superiori rispetto a quelle fisiologiche o anche maggiori in pazienti emodinamicamente instabili. Una buona scelta iniziale può essere il desametasone somministrato per via endovenosa ad un dosaggio di 0,1-2 mg/kg, ripetuto ogni 12 ore al dosaggio di 0,05-0,1 mg/kg. Un importante vantaggio di questo farmaco consiste nel fatto che, a differenza degli altri glucocorticoidi, non cross-reagisce con la metodica per la determinazione del cortisolo, e può quindi essere somministrato al paziente immediatamente, anche prima dell’esecuzione del test di stimolazione con ACTH. Le alternative al desametasone sono il prednisolone sodio succinato EV alla dose di 1-2 mg/kg e ripetuto ogni 6 ore alla dose di 0,5 mg/kg, l’idrocortisone emisuccinato o fosfato EV alla dose di 5 mg/kg e ripetuto ogni 6 ore alla dose di 1 mg/kg oppure in infusione continua alla dose di 0,625 mg/kg/ora. L’idrocortisone emisuccinato ha il vantaggio di possedere attività mineralcorticoidea e può diminuire la quantità di fluidi necessari per la rianimazione. È opportuno continuare con questo protocollo fino a quando non sia possibile passare all’integrazione di glucocorticoidi per via orale.
La terapia con mineralcorticoidi si rende necessaria per mantenere l’equilibrio elettrolitico dell’organismo; l’integrazione va presa in considerazione in pazienti in shock non responsivi alla fluidoterapia anche prima di avere confermato la diagnosi. Uno dei farmaci più utilizzati per la sua estrema efficacia e l’unico il cui uso è consentito in ambito veterinario, è il desossicorticosterone pivalato (DOCP), un ormone mineralcorticoide puro, che diversamente dagli altri mineralcorticoidi ha un’attività glucocorticoidea molto limitata. Il dosaggio di partenza suggerito dalla casa farmaceutica è pari a 2,2 mg/kg per via sottocutanea. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato come dosaggi di partenza più bassi (1,5 mg/kg per via sottocutanea) permettano di ottenere un ottimo controllo della patologia. Un importante vantaggio del DOCP consiste nel fatto che non determina l’insorgenza di effetti collaterali, anche se somministrato a cani in cui non venga confermata la diagnosi di ipoadrenocorticismo.
Un’alternativa al DOCP, in corso di terapia per crisi addisoniana, è rappresentata dall’idrocortisone emisuccinato, un farmaco che possiede sia attività glucocorticoide che mineralcorticoide e che risulta molto affidabile nel trattamento dell’ipoadrenocorticismo nell’uomo. Va, infine, ricordato il fludrocortisone acetato, che tuttavia raramente viene utilizzato nelle crisi surrenaliche acute, in quanto è disponibile solamente in compresse.
Terapia aggiuntiva
Nella maggior parte dei casi le alterazioni elettrolitiche si risolvono con la sola somministrazione di fluidi. Nei rari casi in cui la soluzione fisiologica non sia sufficiente ad abbassare rapidamente i livelli di potassio in circolo e il paziente sia sintomatico (bradicardia, assenza dell’onda P o prolungamento dell’intervallo P-R all’ECG), può essere necessario intervenire con altre strategie. Per proteggere il miocardio dalla condizione di iperkaliemia si può prendere in considerazione l’infusione endovenosa di gluconato di calcio al 10 % (0,5-1 ml/kg o 2-10 ml/cane in 10-20 minuti), avendo però l’accortezza di monitorare continuamente l’ECG durante l’infusione e sospendendola immediatamente nel caso in cui insorgano aritmie. Questo tipo di trattamento non ha alcun effetto diretto sulla potassiemia ma si limita a contrastare temporaneamente gli effetti pericolosi che questa esercita sulla funzionalità miocardica.
Diversamente, per abbassare le concentrazioni di potassio, si può ricorrere alla somministrazione EV di glucosio (1-2 grammi per unità di insulina) e insulina (0,2 U/kg) in infusione continua. Favorire l’ingresso del glucosio nelle cellule determina il passaggio degli ioni potassio dal compartimento vascolare a quello intracellulare, con conseguente abbassamento della potassiemia. In alternativa è possibile anche effettuare un’inoculazione intramuscolare o endovenosa di insulina regolare alla dose di 0,06-0,125 U/kg associata alla contemporanea somministrazione di 20 ml di soluzione glucosata al 10% per ogni unità di insulina.
Nei casi in cui l’iperkaliemia e l’acidosi non migliorino con la semplice fluidoterapia può essere presa in considerazione anche la somministrazione di bicarbonato di sodio (EV, in quantità pari a circa il 25-50% del deficit calcolato, in un arco di tempo di 6 ore) in quanto l’innalzamento del pH promuove l’ingresso del potassio all’interno delle cellule. Altre terapie di supporto sono rappresentate da eventuali trasfusioni con emocomponenti nei pazienti con grave anemia secondaria a sanguinamenti gastroenterici, gastroprotettori, antiemetici e antibiotici in pazienti con vomito, diarrea, ulcere del tratto gastroenterico o ileo paralitico.
TERAPIA DI MANTENIMENTO E MONITORAGGIO
Per quanto riguarda la terapia a lungo termine dell’ipoadrenocorticismo, questa si basa su una corretta integrazione ormonale fornita sia dalla componente glucocorticoidea che mineralcorticoidea nel caso della forma primaria classica (carenza di entrambe le componenti), solo della componente glucocorticoidea nel caso della forma primaria atipica o della forma secondaria (carenza della componente glucocorticoidea). I cani con forma primaria atipica possono sviluppare col tempo una insufficienza surrenalica completa e, di conseguenza, possono manifestare alterazioni elettrolitiche. In questi soggetti la supplementazione della componente mineralcorticoidea è indicata solo nel caso in cui gli squilibri elettrolitici si rendano manifesti. Non è possibile predire quali soggetti progrediscano verso una insufficienza surrenalica completa, per tale ragione è altamente raccomandabile un monitoraggio più frequente in questi pazienti (ogni 1-3 mesi) almeno nel primo anno successivo alla diagnosi.
Mineralcorticoidi
Il farmaco di prima scelta per la supplementazione mineralcorticoidea in corso di ipoadrenocorticismo primario nel cane è il desossicorticosterone pivalato (DOCP). Il DOCP è un ormone mineralcorticoide puro che, diversamente dagli altri mineralcorticoidi, ha un’attività glucocorticoidea molto limitata. Si tratta di un estere insolubile del desossicorticosterone, formulato in sospensione microcristallina da somministrare per via sottocutanea, efficace dopo poche ore dall’inoculazione ed avente lunga durata di azione (circa 25-30 giorni). Tale farmaco è attualmente l’unico mineralocorticoide registrato per il trattamento del Morbo di Addison nel cane. Il dosaggio di partenza suggerito dalla casa farmaceutica è di 2,2 mg/kg per via sottocutanea ogni 25 giorni circa. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato come dosaggi di partenza più bassi (1,5 mg/kg) siano solitamente sufficienti per un ottimo controllo della patologia. È possibile che molti soggetti risultino ben controllati anche con un intervallo di somministrazione leggermente maggiore rispetto ai 25-30 giorni raccomandati. Nonostante ciò, non essendoci, ad oggi, studi pubblicati a questo proposito, la raccomandazione è di non eccedere i 30 giorni di tempo tra una somministrazione e l’altra. Si tratta di un intervallo di tempo che permette di ridurre il costo del farmaco ed è facile da ricordare sia per il proprietario che per il veterinario. Essendo il DOCP un mineralocorticoide, la componente glucocorticoidea deve essere integrata attraverso la somministrazione quotidiana di prednisolone/prednisone a 0,1-0,25 mg/kg SID PO.
È importante monitorare il cane che intraprende una terapia a base di DOCP eseguendo la prima valutazione degli elettroliti a 10-15 giorni e la seconda a 25-30 giorni dalla somministrazione del farmaco per i primi 1-2 mesi, fino al raggiungimento del dosaggio e dell’intervallo di somministrazione corretti. Il controllo a 10-15 giorni (picco di attività del farmaco) ha la finalità di valutare se sono necessari adeguamenti del dosaggio, mentre il controllo a 25-30 giorni serve a modificare l’intervallo di somministrazione. Il monitoraggio terapeutico dovrebbe basarsi sulla valutazione di sodio e potassio, presi singolarmente, piuttosto che sulla misurazione del rapporto Na/K. In Fig. 7 è illustrato uno schema per il monitoraggio della terapia con DOCP. Una volta individuata la posologia adeguata al singolo soggetto, è possibile istruire il proprietario a somministrare il farmaco in ambito domestico; sono comunque consigliati controlli semestrali in quanto i fabbisogni dell’organismo potrebbe modificarsi nel tempo (anche in funzione di variazioni del peso corporeo). I cani trattati con DOCP possono sviluppare poliuria/polidipsia, che si accentua ancora di più nella settimana subito successiva alla somministrazione. Ciò può verificarsi conseguentemente ad una eccessiva supplementazione di glucocorticoidi o perché il dosaggio di DOCP è maggiore rispetto al fabbisogno. In questo caso è opportuno prima provare a ridurre l’integrazione glucocorticoidea e in secondo luogo ridurre la dose di DOCP fino a quando la poliuria/polidipsia non sia risolta.
Come seconda scelta per il trattamento dell’ipoadrenocorticismo nel cane, è possibile utilizzare il fludrocortisone acetato, un mineralcorticoide sintetico che, a differenza del DOCP, possiede anche una attività glucocorticoidea intrinseca. Rispetto al DOCP ha una efficacia inferiore nel controllo degli elettroliti. Al momento in Italia non esiste alcuna specialità medicinale a base di fludrocosrtisone. Il dosaggio iniziale è di 0,02 mg/kg somministrato in dose singola o diviso in due somministrazioni giornaliere Anche in questo caso, come per il DOCP, l’efficacia terapeutica viene valutata sulla base della concentrazione elettrolitica. Modifiche di dosaggio di 0,05-0,1 mg/giorno devono essere effettuate sulla base della presenza di alterazioni elettrolitiche. Gli elettroliti devono essere controllati, inizialmente, ogni settimana fino alla stabilizzazione all’interno dei range di riferimento. Una volta normalizzati gli elettroliti vanno monitorati mensilmente per i primi 3-6 mesi e successivamente ogni 3-6 mesi. Il principale svantaggio di questo farmaco è conseguente alla sua attività glucocorticoidea. Può quindi succedere, e purtroppo non così infrequentemente, che con il dosaggio necessario per ottenere un normale equilibrio elettrolitico si manifestino sintomi dovuti ad un eccesso di glucocorticoidi (poliuria, polidipsia, polifagia, perdita di peso). In questi casi è necessario sospendere eventuali glucocorticoidi aggiuntivi e, se la sintomatologia non regredisce, è opportuno sostituire il fludrocortisone con il DOCP, dotato di soli effetti mineralcorticoidei. Il fludrocortisone acetato può, inoltre, essere molto costoso, soprattutto in cani di grossa taglia; per questo motivo il DOCP può essere la scelta migliore anche in termini economici.
Glucocorticoidi
Il farmaco d’elezione per la supplementazione della componente glucocorticoidea nei cani con ipoadrenocorticismo è il prednisolone. Questo è dovuto sia al basso costo che al facile controllo dei livelli ematici del farmaco. Per quanto riguarda i cani trattati con fludrocortisone, solamente il 50% circa di essi richiede una terapia glucocorticoide aggiuntiva; quest’ultima è invece quasi sempre necessaria quando la fonte di mineralcorticoidi è rappresentata dal DOCP. Il dosaggio fisiologico richiesto di prednisolone è di 0,1-0,25 mg/kg/giorno anche se in alcuni casi è sufficiente una dose di 0,05 mg/kg/giorno. In seguito alla diagnosi solitamente il farmaco è introdotto ad un dosaggio maggiore, pari a 0,5-1 mg/kg/giorno, che dovrà essere gradualmente ridotto nelle settimane successive. Le modificazioni dei dosaggi devono essere fatte sulla base dei segni clinici (vomito, diarrea, anoressia) e degli effetti collaterali (poliuria, polidipsia, polifagia e affanno). Durante eventi stressanti il fabbisogno di glucocorticoidi aumenta. In linea generale, si consiglia di incrementare la dose da 2 a 5 volte in caso di stress moderato e da 5 a 20 volte in caso di stress grave (e.g., intervento chirurgico).
PROGNOSI
L’ipoadrenocorticismo è una patologia che richiede una terapia a vita. Risulta quindi fondamentale la diligenza del proprietario, così come la sua compliance con il veterinario, affinché la prognosi possa essere eccellente. Il proprietario deve avere sempre a disposizione dei glucocorticoidi da somministrare prontamente nelle fasi di stress acuto, deve essere molto attento a riconoscere in modo tempestivo le varie manifestazioni della patologia ed essere consapevole che qualsiasi fonte di stress pone a rischio l’animale. I cani con diagnosi di ipoadrenocorticismo, se adeguatamente trattati, possono condurre una vita assolutamente normale e di buona qualità, con una sopravvivenza mediana pari a 4,7 anni.
Bibliografia e letture consigliate
- Scott-Moncrieff JC. “Hypoadrenocorticism”. In: Feldman EC, Nelson RW, Reusch CE, Scott- Moncrieff JC, Behrend E, eds. Canine and Feline Endocrinology, 4th ed. St. Louis: Elsevier, 2015, pp. 485–520.
- Hess RS. “Hypoadrenocorticism”. In: Ettinger SJ, Feldman EC, Cotè E, eds. Textbook of Veterinary Internal Medicine, 8th ed. St. Louis: Elsevier, 2017, pp. 1825-1833.
- Hanson JM, et al. Naturally Occurring Adrenocortical Insufficiency--An Epidemiological Study Based on a Swedish-Insured Dog Population of 525,028 Dogs. J Vet Intern Med, 30:76, 2016.
- Klein SC, Peterson ME. Canine hypoadrenocorticism: part I. Can Vet J. 51: 63-9, 2010a.
- Klein SC, Peterson ME. Canine hypoadrenocorticism: part II. Can Vet J. 51: 179-184, 2010b.
- Spence S, Gunn E, Ramsey I. Diagnosis and treatment of canine hypoadrenocorticism. In Pract, 40: 281-290, 2018.
- Reusch CE, Sieber-Ruckstuhl N, Wenger M et al. Histological evaluation of the adrenal glands in seven dogs with hyperadrenocorticism treated with trilostane. Vet Rec 160: 219-224, 2007.
- Thompson AL, Scott-Moncrieff JC, Anderson JD. Comparison of classic hypoadrenocorticism with glucocorticoid-deficient hypoadrenocorticism in dogs: 46 cases (1985-2005). J Am Vet Assoc 230: 1190-1194, 2007.
- Wakayama JA, Furrow E, Merkel LK et al. A retrospective study of dogs with atypical hypoadrenocorticism: a diagnostic cut‐off or continuum?. J Small Anim Pract, 58: 365-371, 2017.
- Hughes AM, Nelson RW, Faula TR et al. Clinical features and heritability of hypoadrenocorticism in Nova Scotia Duck Tolling Retrivers: 25 cases (1994-2006). J Am Vet Med Ass 231: 407-412, 2007.
- Wenger M, Mueller C, Kook PH et al. Ultrasonographic evaluation of adrenal glands in dogs with primary hypoadrenocorticism or mimicking diseases. Vet Rec, 167: 207-210, 2010.
- Lennon EM, Boyle TW, Hutcchins RG et al. Use of basal serum or plasma cortisol concentrations to rule out a diagnosis of hypoadrenocorticism in dogs: 123 cases (2000-2005). J Am Vet Med Assoc 231: 413-416, 2007.
- Bovens C, Tennant K, Reeve J et al. Basal serum cortisol concentration as a screening test for hypoadrenocorticism in dogs. J Vet Intern Med, 28: 1541-1545, 2014.
- Gold AJ, Langlois DK, Refsal KR. Evaluation of basal serum or plasma cortisol concentrations for the diagnosis of hypoadrenocorticism in dogs. J Vet Intern Med, 30: 1798-1805, 2016.
- Cohen TA and Feldman EC. Comparison of IV and IM formulations of synthetic ACTH for ACTH stimulation tests in healthy dogs. J Vet Intern Med, 26:412, 2012.
- Lathan P, Scott‐Moncrieff JC, Wills RW. Use of the cortisol‐to‐ACTH ratio for diagnosis of primary hypoadrenocorticism in dogs. J Vet Intern Med, 28: 1546-1550, 2014.
- Panciera DL. Fluid therapy in endocrine and metabolic disorders. In: DiBartola SP, ed. Fluid, Electrolyte, and acid-base disorders. 3rd ed. St Louis, Missuri: Elsevier 478-489, 2006.
- Gunn E et al. Hydrocortisone in the management of acute hypoadrenocorticism in dogs: a retrospective series of 30 cases. J Small Anim Pract. 57:227, 2016.
- Jaffey JA et al. Desoxycorticosterone pivalate duration of action and individualized dosing intervals in dogs with primary hypoadrenocorticism. J Vet Intern Med. 31:1649, 2017.
- Sieber‐Ruckstuhl NS, Reusch CE, Hofer‐Inteeworn N et al. Evaluation of a low‐dose desoxycorticosterone pivalate treatment protocol for long‐term management of dogs with primary hypoadrenocorticism. J Vet Intern Med, 33: 1266-1271, 2019