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{{/_source.additionalInfo}}Nel corso dell’attività clinica giornaliera il medico veterinario può trovarsi di fronte a una varietà estremamente ampia di casi clinici riconducibili ai più disparati agenti eziologici. All’interno della casistica vanno inclusi anche gli individui colpiti da animali dotati di ghiandole velenifere. Il concetto stesso di veleno conduce fin dalla fase anamnestica a pensare subito ad alcuni imenotteri (es. vespe) dotati di aculei o a specie appartenenti all’erpetofauna italiana. Tra gli organismi da considerare vi sono però anche gli aracnidi presenti sul territorio nazionale. Senza dubbio le specie più note tra questi sono incluse nell’ordine Acarina ma non bisogna dimenticare la presenza di diverse specie appartenenti all’ordine Araneae alcune delle quali dotate di veleni d’importanza clinica sia in medicina umana sia in medicina veterinaria.
Le vedove: il genere Latrodectus
Il genere Latrodectus è incluso nella famiglia Theridiidae e comprende 35 specie diffuse in tutti i continenti con l’esclusione dell’Antartide. Sono ragni noti con il termine di “vedove”; tra queste la specie di interesse medico, anche veterinario, presente sul territorio nazionale è Latrodectus tredecimguttatus (Rossi, 1790) nota con il nome comune di malmignatta, ragno di Volterra o vedova nera mediterranea. Trattasi di un invertebrato il cui areale di distribuzione si estende dall’area del bacino del Mediterraneo fino all’Asia centrale in Cina (fonte gbif.org). Nello specifico la distribuzione nazionale di L. tredecimguttatus non è stata approfonditamente indagata. Uno studio del 2024 ne ha però raccolto le segnalazioni note, seppur puntiformi. I report della presenza sul territorio sono pervenuti da Sardegna, Puglia, Lazio, Liguria, Toscana, Calabria, Basilicata e Sicilia. Di altrettanto interesse è la segnalazione della specie sulle isole minori come Lampedusa, Linosa, le Tremiti (Caprara e Pianosa), Isola del Giglio, Isola d’Elba e Capri. Le chiavi d’identificazione tassonomica possono rappresentare anche per il medico veterinario uno strumento utile per il riconoscimento della specie, la quale si può confondere con ragni simili (Steatoda). L. tredecimguttatus è di dimensioni relativamente piccole comprese tra 7 mm e 1,5 cm. Il prosoma (cefalotorace) è di colore nero, lucido e lungo tra i 3 e i 5 mm. Le zampe sono del medesimo colore nero e l’opistosoma (addome) si caratterizza nella femmina per una colorazione di base nera con tre serie di macchie rosse poste longitudinalmente sulla superficie dorsale (Fig. 1).
Fig. 1
L’opistosoma si presenta inoltre ricoperto sia da peli lunghi sia da altri, bifidi e corti. Nel maschio le macchie possono presentarsi anche più chiare o con margini biancastri. Nel complesso le livree possono variare; sono infatti noti esemplari con macchie molto scure o quasi totalmente neri (Fig. 2).
Fig. 2 Latrodectes
CC0 1.0 Universal
La specie popola gli ambienti più secchi, aridi e caratterizzati dalla presenza di una vegetazione bassa, erbacea, arbustiva, nonché i pergolati. In Spagna ne è stata osservata anche nei pressi di lecci. Trattasi di un predatore generalista e stenofago; le indagini mostrano infatti un’alimentazione principalmente a base di imenotteri e coleotteri. Le tele che tesse si possono ritrovare in cavita naturali o artificiali; le osservazioni condotte ne hanno evidenziato la presenza negli arbusti così come nei solchi lasciati dal bestiame al pascolo o dai lagomorfi e al di sotto delle rocce. Durante il periodo riproduttivo la femmina produce e difende un caratteristico bozzolo setoso e rotondeggiante contenente le uova in corso di schiusa. Il successo predatorio è il risultato del veleno della specie che è oggetto di assoluto interesse medico e dalla sintomatologia conseguente all’inoculazione deriva il famoso termine di latrodectismo. Questo è connesso con il morso della femmina che è dotata di cheliceri più robusti rispetto al maschio. Nell’uomo il morso viene riferito come doloroso e in pochi minuti si può osservare prurito, eritema e anche parestesia. L’azione lesiva è connessa con il veleno contenente l’α-latrotossina (α-LTX) che svolge un’azione diretta sia sui neuroni sia sulle cellule del sistema endocrino. Sui primi l’α-latrotossina agisce seguendo meccanismi Ca2+-indipendenti e Ca2+-dipendenti con seguente rilascio di neurotrasmettitori. Il veleno è però in realtà molto più complesso; gli studi hanno infatti evidenziato al suo interno la presenza di dieci proteine, tra le quali le latrotossine, oltre 30 enzimi (13 idrolasi), 23 proteine con funzione di legame, 31 proteine tra le quali un inibitore della triptasi, una proteina simile all'antigene 5 dell'allergene del veleno, la F-type lectina o fucolectina in aggiunta ad altre 20 proteine con funzione non ancora nota. I casi segnalati nella bibliografia veterinaria internazionale sono pochi e per ora coinvolgono la specie Latrodectus geometricus (Koch, 1841) con sintomatologia generalizzata e anche un decesso. Sul territorio nazionale sono inoltre presenti anche ragni del genere Steatoda come Steatoda nobilis ossia la cosiddetta “falsa vedova nera” che, seppur meno indagata, è dotate di veleno e meritoria di attenzione.
Il ragno violino
Il ragno violino Loxosceles rufescens (Dufour, 1820) (Fig. 3) è una specie con un ampio areale di diffusione che va dal bacino del Mediterraneo (Italia inclusa) fino alle porzioni temperate dell’Asia occidentale. Si è ipotizzato che L. rufescens possa essere originario del Marocco e che la sua diffusione nelle altre aree mediterranee sia stata favorita dai trasporti a partire da 5000 anni fa. Dal punto di vista morfologico gli individui possono raggiungere una lunghezza di 75-80 mm; il prosoma (cefalotorace) raggiunge i tre mm e mostra una colorazione bruno/arancione mentre l’opistosoma può avere una cromia variabile dal grigio al bruno tendente al giallastro.
Fig. 3 Loxoscele rufescens
https://www.flickr.com/photos/liesvanrompaey/52595456460
Autore: liesvanrompaey
CC BY 2.0
Il nome comune deriva dal tipico disegno a mo’ di violino stilizzato posto sul cefalotorace con il manico dello strumento diretto verso l’opistosoma. Poiché anche altre specie di ragni possono avere un disegno talora simile e confondibile, è opportuno ricordare che un ulteriore importante parametro morfologico utile all’identificazione della specie è la presenza di tre coppie di occhi a formare una composizione triangolare (Fig. 4).
Fig. 4
Trattasi di un ragno notturno ed è possibile ritrovarlo anche nelle zone più protette e scure della casa come le legnaie, le lavanderie o dietro mobili, divani o sotto i battiscopa. La specie è timida ma le abitudine sinantropiche aumentano il rischio delle lesioni conseguenti ai morsi. Seppur con conseguenze cliniche diverse legate sia all’individuo morsicatore sia alle condizioni fisiologiche o patologiche dell’organismo morso, il veleno del ragno violino mostra una peculiare composizione. La componente più nota è la sfingomielinasi D (SMD) che induce una condizione infiammatoria sistemica simile alla reazione osservata durante uno shock endotossico e complicazioni connesse a infezioni batteriche secondarie. Dagli studi condotti sul veleno di Loxosceles è stato possibile isolare altre molecole, tra le quali anche ialuronidasi, peptidi ICK, inibitori della serina proteasi e allergeni. Nell’uomo sono note sia forme dermonecrotiche sia manifestazioni caratterizzate da effetti sistemici, forme cliniche da tenere quantomeno in considerazione anche nei pet. Al contrario della casistica disponibile in medicina umana, sono pochi i casi clinici pubblicati riguardanti i morso dei ragni appartenenti all’ordine Loxosceles (circa 140 specie) nel cane e alcuni includono specie del medesimo genere non presenti in Italia. Nel cane, In aggiunta agli arti, tra le zone colpite si segnalano anche la lingua e il muso a seguito del tentativo della rimozione del ragno da parte del pet. Sul morso vi sono opinioni discordanti, alcuni fonti lo identificano come doloroso, altre meno, ma l’aspetto di maggior interesse medico riguarda la sintomatologia che può fare seguito alla penetrazione del veleno. La comparsa di un alone eritematoso intorno al sito della puntura, di edema e la comparsa di vescicole precede la comparsa di ulcerazione e necrosi che compare dopo 36-48 ore. Questa manifestazione è descritta anche nel cane con la presenza di lesioni necrotiche caratterizzate da un essudato emorragico-purulento e croste emorragiche, lieve prurito e sensibilità dolorosa. Unitamente a un’approfondita anamnesi, anche ambientale, questi sono i segni clinici che possono supportare l’ipotesi diagnostica. Nei pet il riconoscimento del loxoscelismo si basa dunque spesso sull’indagine epidemiologica, l’anamnesi e i segni clinici.
Altri aranei d’interesse medico
Seppur meno presenti all’interno della bibliografia medica, in Italia si ricordi la presenza di due specie incluse nel genere Cheiracanthium, nello specifico Cheiracanthium mildei L. Koch, 1864 e Cheiracanthium punctorium (Villers, 1789) (Fig. 5).
Fig. 5 Cheiricanthium
Link: https://flickr.com/photos/schagow/53055186981/in/photolist-9zF2QP-sHfyv2-2qjRoAB-2oVEg76-zzPSuo-6FB8hW-2oQiGF8-Dee1vG-pXeLpV-bdTSeT-EdyCRM-2oQm9GQ-bdUm7X-NJoLQN-qBAjjn-qTWyo3-bdSJAK-bdTTcZ-EmNuwt-bdTSyr-pX1VFY-KE3cq9-aDWwwi-iFuWpk-z9rccq
Autore: Veit Schagow
Diritti d’utilizzo: PDM 1.0
Il primo risulta diffuso in 17 regioni, il secondo in 14 ma con una distribuzione in termini di segnalazioni variabili persino tra provincie. C. punctorium può raggiungere i 15 mm di lunghezza nelle femmine e il tratto distintivo utile per il riconoscimento del genere è la presenza nei maschi di due cheliceri massicci molto sviluppati di colore giallo/arancione che terminano con una porzione più scura (zanna). Il corpo è di colore chiaro con tonalità che variano dal giallo al beige, in netto contrasto con la colorazione più scura del cefalotorace e, come già descritto, cheliceri. È possibile ritrovare esemplari sia negli ambienti aperti come radure, prati, zone cespugliose, giardini inclusi, sia in casa. Trattasi di specie principalmente crepuscolari o notturne che non costruiscono una tela, sono infatti descritte come cacciatrici erranti. In compenso un possibile segnale della presenza di esemplari stanziali è legato al rinvenimento di uno specifico bozzolo dal caratteristico aspetto bianco che gli esemplari utilizzano come rifugio e che viene definito sacco sericeo. Dal veleno è stata isolata la tossina a struttura modulare CpTx dotata di attività insetticida (paralitica e letale), citotossica e lesiva nei confronti delle membrane. Un’interessante lavoro italiano sui casi di morso di Cheiracanthium nell’uomo censiti sul territorio nazionale ne ha raccolti otto tra il 1990 e il 2011 accompagnati da sintomatologia. Non sono descritti casi certi nei pet ma la sintomatologia riscontrata nell’uomo potrebbe ricalcare quella potenzialmente osservabile nel cane o nel gatto. Nella bibliografia medica umana nazionale i sintomi descritti sono variabili in relazione anche al soggetto colpito e possono includere: dolore al morso e persistente a seguire, edema, letargia, ipereccitabilità, brividi, vomito, tachicardia e persino collasso cardiocircolatorio senza però episodi di mortalità.
Casistica veterinaria e riflessioni pratiche
Nella bibliografia scientifica veterinaria sono pochi i dati pubblicati sugli incidenti da morso di ragni nei pet e ancora più scarni lo sono quelli che coinvolgono le specie diffuse sul territorio nazionale. Tale risultato potrebbe essere connesso con diversi fattori legati sia alle singole peculiarità anatomiche ed etologiche di questi artropodi sia alla complessità nell’ottenere la certezza eziologica. Resta però innegabile il potenziale rischio legato a tali incidenti anche in medicina veterinaria. Le riflessioni che ne conseguono possono essere molteplici e trasformarsi anche in basi per l’indagine pratica. La cute del pet, per lo più ricoperta da pelo, può rendere difficilmente indagabile la ricerca dei fori lasciati dai cheliceri dei ragni; inoltre, anche l’eventuale riscontro dei due fori non è sempre utile a fine diagnostico in quanto i corti cheliceri possono causare lesioni piccole e molto vicine tra loro confondibili con quelle di altri invertebrati. In aggiunta, a differenza ad esempio di serpenti o di insetti volatori, le piccole dimensioni di questi animali possono renderli difficilmente osservabili in corso d’incidente da parte del proprietario sia in ambienti chiusi (es. rimesse, magazzini, legnaie) e, ancor più, all’aperto, ricordando anche che i diversi habitat sono inoltre potenzialmente diversamente connessi con le singole specie di aranei. Ne consegue che anche in corso di anamnesi potrebbe essere meno probabile magari potersi avvalere della carcassa dell’artropode e, quando questa è presente, non è inoltre detto che sia quello coinvolto nell’incidente. Allo stesso modo vi potrebbero essere meno possibilità nel disporre di documentazione fotografica o video fornita dal proprietario, contrariamente a quanto non di rado avviene in caso di sospetto morso o puntura di altri animali. In assenza di materiale utile a indirizzare i sospetti verso gli aranei è importante approfondire anche aspetti quali le tempistiche e l’anamnesi ambientale, specie se legata a particolari comportamenti del pet colpito (es. guaiti o altri aspetti con il dolore, se presente). Qualora in presenza di necrosi, talora anche molto estese, si sospettasse un caso di loxoscelismo cutaneo, sarà utile porre domande in merito alla tempistica della comparsa della lesione. A fronte della diffusione di queste specie di artropodi, alcune delle quali riscontrabili anche negli spazi domestici, tali rischi biologici sono dunque sempre da porre in diagnosi differenziale in corso di sospetto morso o puntura da parte di animali terrestri velenosi.
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