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Avvelenamento da organofosforici e carbammati

  • Disciplina: Tossicologia
  • Specie: Cane e Gatto

Gli organofosforici e i carbammati sono comunemente impiegati come pesticidi in ambienti casalinghi, in agricoltura, industria e come parassiticidi in medicina veterinaria. I due gruppi di composti sono accomunati dal meccanismo d’azione e dal tipo di effetti tossici che esplicano a carico degli animali. Entrambe le classi comprendono sia molecole con tossicità relativamente bassa, sia molecole estremamente tossiche e letali (gas nervini).

La sintesi del primo organofosforico risale al 1854 ma il maggiore sviluppo avviene intorno alla seconda Guerra Mondiale, quando sono numerose le molecole, a volte anche estremamente tossiche e poco selettive (es. gas nervini), che vengono sviluppate per vari scopi. A partire dal dopoguerra la sintesi di molecole si avvia verso lo sviluppo di sostanze più selettive, dunque tossiche per gli insetti ma meno tossiche per i mammiferi, e per circa 50 anni sono stati i principali insetticidi utilizzati in tutto il mondo. Attualmente, sono almeno un centinaio gli organofosforici impiegati per vari scopi.   

Il primo carbammato, la fisostigmina (alcaloide dell’eserina), è stato isolato negli anni ’80 del IXX secolo. La sintesi della neostigmina, un estere aromatico dell’acido carbammico, risale all’inizio del 1900, ma il vero sviluppo di molecole impiegate come insetticidi avviene intorno agli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Come per gli organofosforici, sono numerose le molecole sintetizzate, ma di queste solo una minima parte trova effettivo impiego come insetticida.

STRUTTURA CHIMICA
La classe degli organofosforici, spesso identificati anche con organofosfati, comprende almeno 13 tipi di molecole. Essenzialmente gli organofosforici sono degli esteri dell’acido fosforico con diverse combinazioni di legame con ossigeno, carbonio, zolfo e/o azoto, che formano molecole piuttosto complesse, accomunate dalla presenza di un gruppo fosfato (P=O) o tiosolfato (P=S) . In generale alcuni organofosforici (es. dichlorvos, trichlorfon) inibiscono in modo diretto l’acetilcolinesterasi (vedi meccanismo d’azione), mentre alcuni composti (quelli che possiedono un legame P=S) possiedono minima o nessuna attività di inibizione diretta dell’enzima, ma necessitano di un processo di desolforazione (trasformazione del gruppo P=S del tiosolfato a gruppo P=O caratteristico di un fosfato) da cui deriva l’analogo oxone della molecola che possiede attività anti-colinesterasica diretta (ad es. il Parathion che diventa l’analogo ossigenato Paraoxon). I carbammati sono esteri dell’acido carbammico e rispetto i precedenti sono molecole strutturalmente più semplici. 

FONTI
I casi di intossicazione negli animali avvengono in seguito all’esposizione a composti organofosforati impiegati come insetticidi e che possono essere utilizzati su piante, animali, suolo, piante d’appartamento, ecc. La maggior parte dei casi di avvelenamento negli animali da compagnia è accidentale (es. esposizione accidentale alla diffusione di spray insetticidi ad uso casalingo), tuttavia è necessario considerare anche le eventualità di avvelenamenti dolosi (ingestione di esche) e la possibilità di intossicazioni iatrogene (sovradosaggio o assunzione accidentale di prodotti farmaceutici, applicazione di prodotti destinati ad altra specie, impiego di insetticidi in animali stressati). Secondo i dati raccolti in Italia (riferibili agli anni 2004 e 2010), gli insetticidi organofosforici e carbammati rappresentano, con i rodenticidi, una delle cause più comuni di intossicazione nel cane e nel gatto. Nel cane le intossicazioni più frequenti con i composti carbammati riguardano in particolare Methomyl e Carbaryl, per gli organofosforici sono più frequenti il Diazinone e il Malathion. Gli organofosforici, una volta assorbiti per via orale, cutanea o polmonare, sono trasportati in tutti i tessuti dell’organismo senza particolare tropismo selettivo, subiscono rapida metabolizzazione epatica e vengono velocemente escreti per via renale.

MECCANISMO D’AZIONE
Organofosforici e carbammati sono accomunati dallo stesso meccanismo d’azione, che si esplica con l’inibizione dell’enzima acetilcolinesterasi (AChE, definita anche acetilcolinesterasi vera), enzima deputato alla demolizione dell’acetilcolina (ACh), ed è localizzata principalmente nel SNC e nei globuli rossi. Poiché il sistema colinergico è ampiamente distribuito sia nel sistema nervoso centrale che periferico, tutte le sostanze in grado di inibire l’AChE producono una vasta gamma di sintomi che sono ben noti e caratterizzati (vedi sintomi). Entrambe le classi agiscono sia sull’AChE che sulle pseudocolinesterasi, queste ultime normalmente diffuse nel plasma, fegato, pancreas e tessuto nervoso e che possono essere idrolizzate da una varietà di esterasi.

L’ACH è neurotrasmettitore a livello di:

  • Neuroni pre e postgangliari nel sistema nervoso parasimpatico e simpatico
  • Fibre postgangliari parasimpatiche e muscolatura liscia o ghiandole esocrine
  • Giunzione neuromuscolare
  • Sinapsi colinergiche nel SNC

Nel normale processo l’AChE lega i gruppi terminali dell’ACh e provoca l’idrolisi della molecola, liberando colina e acetato. Poiché l’acetato è rilasciato successivamente alla colina, l’enzima è “acetilato” per una frazione di tempo. Il turnover dell’ACh avviene rapidissimamente, nell’ordine di circa 150 µs. Quando un carbammato lega l’AChE, l’insetticida viene idrolizzato e l’enzima risulta temporaneamente “carbamilato” e quindi inibito. Questo tipo di inibizione è generalmente reversibile ma può perdurare per un tempo sufficiente a produrre caratteristici segni clinici fino persino la morte (tempo di idrolisi = 15-30 minuti). Dopo legame con un organofosforico, l’enzima è “fosforilato” e quindi inibito, ma poiché il tempo di idrolisi è molto lungo (giorni), il legame e il tipo di inibizione che ne consegue è considerata irreversibile. In alcuni casi, in seguito a successivi processi di dealchilazione, il legame tra enzima e gruppo fosforico diventa stabile (aging). Dopo tale processo l’inibizione è definitivamente irreversibile e anche il trattamento con ossime è inefficace.

Il risultato della fosforilazione o carbamilazione dell’AChE è la cessazione della normale attività dell’enzima e il conseguente aumento della concentrazione di ACh nei siti neuroeffettoriali, che si traduce in una continua stimolazione dei recettori neurali, ghiandolari e muscolari.

La contemporanea o ravvicinata somministrazione di alcuni farmaci può potenzialmente aumentare la suscettibilità dell’animale nei confronti della tossicità degli organofosforici e carbammati, quali:

  • Farmaci che inducono blocco neuromuscolare o che competono per il legame con le esterasi: fenotiazina, procaina, anestetici inalatori, agenti di blocco neuromuscolare come succinilcolina e decametonio; alcuni antibiotici: aminoglicosidici (streptomicina, diidrostreptomicina, neomicina, kanamicina, gentamicina), polipeptidi (polimixina A e B, colistina), clindamicina e lincomicina possono avere effetto di blocco neuromuscolare
  • Depressanti del SNC (tranquillanti fenotiazinici, benzodiazepine, reserpina e barbiturici) possono potenziare l’effetto degli organofosforici e carbammati attraverso attività farmacodinamica sinergica diretta o indiretta, o attraverso effetti farmacologici (es. depressione respiratoria)

A causa di queste potenziali interazioni tra farmaci ed insetticidi potrebbe essere necessario ritardare eventuali interventi chirurgici e/o utilizzare protocolli terapeutici alternativi se l’animale è stato recentemente coinvolto in un caso di intossicazione da organofosforici o carbammati.

Inoltre, l’impiego concomitante di molecole con attività anticolinesterasica, pur con basse dosi, può indurre intossicazione a causa della progressiva inibizione delle esterasi.

SINTOMI CLINICI
La maggior parte dei casi di avvelenamento negli animali è di tipo acuto. L’insorgenza dei primi segni clinici solitamente avviene entro 15 minuti – 1 ora e sono rapidamente seguiti da segni di maggiore gravità. Tuttavia la tempistica varia in funzione della specie animale coinvolta, della molecola e della dose. Nel caso di alcuni organofosforici particolarmente liposolubili, l’insorgere dei segni clinici può essere ritardata anche di alcuni giorni e persistere poi per diverse settimane. A causa della variabilità della risposta individuale e del gran numero di molecole che possono causare l’intossicazione, non tutti gli animali avvelenati presentano gli stessi sintomi e non tutti gli inibitori della colinesterasi provocano uguale sindrome.

I sintomi clinici si riassumono in 3 categorie:

  • Muscarinici
  • Nicotinici
  • Effetti sul SNC

I sintomi iniziali sono solitamente quelli muscarinici e possono includere:

  • Ipersalivazione
  • Lacrimazione
  • Urinazione
  • Ipermotilità gastrointestinale e defecazione, diarrea
  • Aumento dei rumori respiratori a causa di broncocostrizione e/o eccessiva secrezione bronchiale
  • Bradicardia
  • Miosi

I segni muscarinici possono essere attenuati o completamente mascherati dalla stimolazione simpatica (causata da stress o stimolazione gangliare via inibizione delle AChE) che induce effetti contrari (midriasi, tachicardia, ecc.)

Successivamente insorgono sintomi di tipo nicotinico (stimolazione della muscolatura scheletrica):

  • Rigidità muscolare
  • Fascicolazioni, tremori
  • Debolezza muscolare
  • Paralisi

I sintomi a carico del SNC sono dovuti all’accumulo di ACh e possono variare in funzione della specie:

  • Agitazione
  • Ansietà
  • Iperattività
  • Convulsioni (più probabili nel cane)
  • Successiva depressione

La morte dovuta ad intossicazione da organofosforici o carbammati può insorgere in seguito a una o più delle seguenti cause:

  • Ipossia dovuta ad aumento delle secrezioni del tratto respiratorio e costrizione bronchiolare, aggravato da bradicardia;
  • Depressione respiratoria in seguito a paralisi per stimolazione nicotinica;
  • Paralisi respiratoria in seguito agli effetti sul SNC 

DIAGNOSI
La diagnosi si basa sull’anamnesi, sul contatto con la sostanza, sulla diminuzione delle colinesterasi nel sangue intero (non nel siero). Questo test, sebbene non conclusivo, dovrebbe essere eseguito sul sangue intero dell’animale vivo o sul tessuto cerebrale nell’animale morto (in questo caso il tessuto andrebbe raccolto il più presto possibile e immediatamente congelato). Si considera positivo, e dunque il test indica l’esposizione e l’intossicazione, quando si ha una riduzione >70% dell’attività delle colinesterasi rispetto la norma. Tuttavia è necessario considerare che esiste una grande variabilità inter-specifica nei valori normali di attività delle AChE.

Nella maggior parte delle specie le pseudocolinesterasi plasmatiche sono il test più sensibile per stabilire l’esposizione all’organofosforico di quanto non lo siano le colinesterasi del sangue intero; il calo di queste ultime, quindi, indica più verosimilmente una intossicazione grave.

Il valore prognostico di questo test è difficile da valutare, soprattutto nel gatto, nel quale le pseudocolinesterasi sono molto sensibili e rappresentano una grossa percentuale del totale dell’attività colinesterasica nel sangue. Di conseguenza il gatto è molto sensibile alla diminuzione totale dell’attività enzimatica, anche dopo esposizioni a quantità di organofosforici ben al di sotto di quelle in grado di indurre evidenti effetti tossici.

Un test non ufficiale, ma comunque utile per valutare la possibilità di avvelenamento causato da un inibitore delle colinesterasi, è il test all’ atropina: somministrare una dose di 0.02-0.04 mg/kg ev di atropina e se si manifestano i sintomi di atropizzazione (tachicardia, secchezza delle fauci, midriasi) la probabilità che un inibitore delle colinesterasi sia responsabile dell’avvelenamento nell’animale sottopoto alla prova è da considerare molto bassa.

La ricerca e l’identificazione di residui di molecole o loro metaboliti è l’approccio ideale per la diagnosi, anche se di non facile e comune esecuzione. Le concentrazioni tessutali di carbammati e organofosforici diminuiscono piuttosto rapidamente dopo l’esposizione. I campioni raccolti ante-mortem (vomito, contenuto gastrico, pelo potenzialmente contaminato da esposizione topica) o post-mortem (fegato, grasso corporeo, cute) dovrebbero essere immediatamente congelati fino al momento delle analisi di laboratorio. Anche la sospetta fonte di esposizione (contenitori, alimenti, acqua, ecc.) dovrebbe essere conservata al fine dell’identificazione della sostanza responsabile dell’avvelenamento.

TRATTAMENTO
L’atropina solfato rappresenta l’antidoto sia per i carbammati che per gli organofosforici. Prima di iniziare la terapia antidotica è consigliabile eseguire una lavanda gastrica o indurre il vomito (se l’ingestione è avvenuta in tempi recenti) o lavare accuratamente il paziente nel caso di esposizione cutanea, avendo cura di indossare dei guanti. La somministrazione di carbone attivo è utile in tutte le specie al fine di limitare l’ulteriore assorbimento del prodotto. Somministrare fluidoterapia endovenosa per compensare la perdita di fluidi.

Atropina solfato: somministrare 0,2 mg/kg (di cui ¼ EV e il rimanente IM o SC). Il trattamento può essere ripetuto (intervalli di 3-6 ore) sulla base della ricomparsa e della gravità dei segni clinici respiratori (respiro affannoso, dispnea, ecc.), cianosi e frequenza cardiaca. I segni quali miosi e salivazione, che non sono indicatori di rischio di sopravvivenza, non sono utilizzati come indicatori terapeutici in seguito alla somministrazione di atropina.

Il trattamento con ossime (Pralidossima cloruro, 2-PAM) consente la riattivazione dell’ AChE fosforilata (dall’estere fosforico) spiazzando il gruppo fosforico dal sito esterasico dell’enzima. La dose è di 20 mg/kg EV o IM. L’impiego delle pralidossima è inefficace nel caso di intossicazione da carbammati, a volte può essere controindicato. Tuttavia, se non si conosce la sostanza responsabile dell’intossicazione è comunque opportuno somministrare la pralidossima (in aggiunta all’atropina); se non si osserva nessun tipo di risposta dopo 3-4 somministrazioni, l’efficacia del farmaco è minima ed è quindi bene interrompere il trattamento.

La somministrazione di pralidossima dovrebbe avvenire entro 24 ore dall’esposizione. Nel caso di “invecchiamento” (aging – vedere meccanismo d’azione) le ossime sono inefficaci. Nel caso di intossicazione per via cutanea con insetticidi organofosforici, l’assorbimento avviene lentamente e può impiegare anche diversi giorni; in questo caso quindi le ossime possono essere efficaci anche dopo alcuni giorni dall’esposizione. La pralidossima ha generalmente bassa tossicità; nel caso di overdose si manifestano tachicardia, aritmie cardiache.

L’impiego di difenidramina è piuttosto controverso. Il farmaco agisce nel cane contrastando gli effetti nicotinici e può rappresentare una valida terapia aggiuntiva negli animali intossicati che non rispondono alla terapia con atropina e ossime. La dose nel cane deve essere adattata al caso, ma di solito varia da 1 a 4 mg/kg per via orale ogni 6/8 ore. Se si impiega tale farmaco, è necessario prestare attenzione alla risposta clinica al fine di evitare depressione, soprattutto quando sono già state impiegate alte dosi di atropina.

POLINEUROPATIA RITARDATA INDOTTA DAORGANOFOSFORICI (OP-induced delayed polyneuropathy – OPIDP)
Oltre alla tossicità acuta, alcuni organofosforici possono causare una polineurite caratterizzata da degenerazione distale e retrograda degli assoni e delle guaine mieliniche di neuroni motori e sensitivi, sia nei nervi periferici che nel midollo spinale (OPIDP). Questo effetto non è dovuta all’inibizione delle AChE, ma al legame degli organofosforici con esterasi presenti nei neuroni, denominate “neuropathy target esterase” (NTE), e al successivo “invecchiamento” (aging) del complesso così formato, in seguito a fosforilazione e successiva dealchilazione. L’insorgenza di questa sindrome può avvenire in seguito ad esposizione singola o ripetuta e i sintomi clinici appaiono in maniera subdola da 1 a 2 settimane dopo l’esposizione in molti animali (nell’uomo da 2 a 4 settimane dopo). Si possono osservare vari gradi di paralisi posteriore, debolezza, atassia e paralisi ascendente, solitamente flaccida. Si notano sintomi di bassa attività motoneuronale e atrofia muscolare. La morte sopraggiunge in seguito a paralisi respiratoria. Gli animali più frequentemente interessati sono bovini, suini, pollame e gatti.


Bibliografia

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Link utili:

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Anestit

Chemicals Regulation Directorate Website
Merck manual

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