Carcinoma squamoso cutaneo del gatto

  • Specie: Gatto

Il carcinoma squamoso (CS) rappresenta il 15-20% dei tumori cutanei del gatto20,21. E’ una delle neoplasie cutanee più frequenti in questa specie ed è localizzato prevalentemente a carico della testa, sebbene sia possibile osservarlo anche a livello degli arti e, più raramente, dorso, addome, coda e regione perineale (Fig. 1). Un fattore di rischio ormai accertato è rappresentato dal mantello chiaro e dalla scarsa copertura di pelo in aree molto esposte ai raggi solari, quali la testa. I gatti neri e i Siamesi, così come altri soggetti di razza pura, sono affetti assai raramente. L’implicazione dei raggi solari nella patogenesi è infatti certa, come dimostrato dal fatto che i gatti bianchi hanno un rischio di sviluppare il tumore da 5 a 13 volte maggiore rispetto a quelli a mantello scuro9. La forma indotta dalle radiazioni solari è nota come carcinoma squamoso attinico.

L’età media di insorgenza è piuttosto elevata (12 anni), sebbene gatti più giovani siano colpiti da lesioni pre-neoplastiche che possono evolvere nel corso di mesi o anni. Non è stata descritta una  predisposizione di sesso, mentre pare esserci una correlazione con la positività per il virus dell’immunodeficienza felina, sebbene tale correlazione potrebbe essere imputabile al comune fattore di rischio rappresentato dalla vita all’aperto, che espone sia al maggior rischio di contagio da parte del virus, sia alla maggior esposizione ai raggi UV.
Nella sua fase iniziale (lesione pre-neoplastica) il CS si manifesta sotto forma di lesioni crostose poco profonde, indolenti, a decorso lento, spesso scambiate dal proprietario per graffi che stentano a guarire (Fig. 2). Possono pertanto trascorrere mesi o addirittura anni prima che il problema venga portato all’attenzione del medico veterinario.

EZIOLOGIA E PATOGENESI
Il CS è stato correlato a molteplici cause, quali esposizione a raggi UV, radiazioni ionizzanti, ingestione di arsenico, esposizione a catrame e sostanze oleose, immunosoppressione da farmaci.


Esistono due forme pre-neoplastiche, denominate cheratosi attinica (CA) o carcinoma in situ, e dermatite pre-neoplastica, o malattia di Bowen (MB), che possono persistere per anni come tali o evolvere nella forma più invasiva. La prima generalmente appare come lesione solitaria in aree esposte al sole e poco pigmentate, quali padiglioni auricolari, regione temporale, palpebre e naso, soprattutto nei gatti bianchi. La malattia di Bowen, invece, appare come lesioni multiple, solitamente di piccole dimensioni, a placca, ben delimitate, pigmentate, non dolenti e non pruriginose, parzialmente alopeciche, a carico sia della testa sia di arti e collo11,23; questa forma non è sempre correlata all’azione dei raggi UV (Fig. 3).
Come accennato in precedenza, è ormai assodata la complicità dell’azione dei raggi solari nella patogenesi del CS della testa del gatto.È  stata inoltre dimostrata l’overespressione della proteina p5311,31 in un’elevata percentuale di CS della testa del gatto, a dimostrazione che alterazioni di tale proteina possono favorire la comparsa del tumore, come avviene in altre specie, quali l’uomo e il bovino. Recentemente è anche stata dimostrata l’overespressione delle cicloossigenasi-2 (COX-2) in molti campioni di CS cutaneo felino e canino4; questo è in contrasto con quanto precedentemente riportato da Beam et al. (2003)5, che avevano ottenuto una positività per COX-2 solo in una piccola percentuale di CS orali nel gatto e nessuna in quelli cutanei. Come commentato dagli stessi autori, però, questo potrebbe essere stato dovuto solo alla scarsa sensibilità del sistema impiegato per la determinazione. Lo studio di Bardagi et al. (2012)4 sembra quindi più attendibile; gli autori riportano che la positività per le cicloossigenasi era riscontrata sia in campioni di cheratosi attinica sia in quelli di CS, soprattutto in prossimità di aree ulcerate e infiammate. La loro ipotesi è che COX-2 sia prodotto dal tumore e possa successivamente facilitare l’infiltrazione da parte di cellule infiammatorie. Poiché i raggi UVB aumentano significativamente l’espressione genica di COX-2 nell’uomo e in modelli murini1, la correlazione patogenetica tra esposizione solare e comparsa di CS sembra ulteriormente supportata.
Un altro fattore recentemente implicato, almeno in parte, nello sviluppo del CS cutaneo felino è l’infezione da parte di virus della famiglia dei Papillomavirus (PV). In particolare, Nespeca et al. (2006)23 hanno segnalato la presenza di una variante di un PV felino in biopsie cutanee provenienti da sedi non esposte al sole, sia di CS sia di MB, mentre le sequenze virali erano assenti in campioni di cute normale. Un ulteriore lavoro22 ha dimostrato la presenza di un PV nel 100% di campioni provenienti da cute di gatti con MB e nell’85% di altri affetti da CS invasivo, ma anche in una piccola percentuale di lesioni non neoplastiche, per cui gli autori sostengono che ci sia una correlazione tra PV e CS, ma che occorrano altri elementi per dimostrare che il virus è in grado di promuovere la trasformazione maligna. A supporto di questa ipotesi c’è la dimostrazione che l’infezione virale può prevenire la riparazione dei danni al DNA indotti dai raggi solari e l’apoptosi conseguente. Altri lavori hanno segnalato la presenza anche di PV di origine non felina in lesioni squamose del gatto, fatto che potrebbe indicare il possibile passaggio di specie tra virus della stessa famiglia2,11,24.

AnchorPRESENTAZIONE CLINICA E DIAGNOSI
Il CS cutaneo si presenta inizialmente come lesioni crostose, che nell’80-90% dei casi interessano la testa e in particolar modo i padiglioni auricolari, il piano nasale, le palpebre e la regione temporale. Le lesioni palpebrali sono spesso associate a lesioni in altre sedi. In circa il 10% dei casi le lesioni compaiono a carico della cute di addome, arti, dorso, coda e perineo; in questi casi l’implicazione della radiazione solare è molto meno probabile21. Nel 30% dei gatti le lesioni sulla testa sono multiple (Fig. 4). L’evoluzione è molto lenta e spesso viene sottovalutata dal proprietario, che considera le lesioni crostose come conseguenza di graffi, dal momento che spesso i soggetti colpiti trascorrono almeno parte della giornata all’esterno. Queste lesioni, spesso rappresentate solo da cheratosi attinica o malattia di Bowen, non devono però essere trascurate dal clinico, dal momento che la cura di lesioni superficiali è associata a prognosi decisamente migliore rispetto a quella di forme più invasive. Non è purtroppo un evento raro il fatto di visitare per la prima volta animali con lesioni in stadio molto avanzato a carico di padiglioni auricolari o piano nasale (Fig. 5). Questo accade a causa della scarsa dolorabilità indotta dal tumore, che non debilita l’animale se non nelle fasi terminali, nonostante la notevole invasività, e alla lentezza nello sviluppo delle metastasi, che compaiono tardivamente, per lo più a carico dei linfonodi regionali e solo raramente al polmone.



La diagnosi e la stadiazione sono comunque piuttosto semplici; la diagnosi differenziale, soprattutto per le lesioni nasali, può essere posta con lesioni immuno-mediate, traumatiche o con altri tumori più rari, quali linfoma, melanoma, emangioma, o con il granuloma eosinofilico34. Il CS si può presentare sia in una forma proliferativa (più rara nel gatto), caratterizzata dalla presenza di placche arrossate e proliferazioni a cavolfiore che esitano nella formazione di ulcere, sia in una ulcerativa rappresentata da lesioni crostose che ricoprono un’area arrossata e ulcerata, che evolve progressivamente in ulcere profonde e deturpanti.
La diagnosi deve comprendere l’esame obiettivo generale, con particolare attenzione all’anamnesi remota (persistenza di lesione crostose), l’esame obiettivo della lesione e dei linfonodi regionali, un profilo emocromocitometrico e biochimico per valutare le condizioni generali del gatto, in previsione della terapia, i test per FIV e FeLV. L’esame radiografico del torace non sarebbe strettamente necessario18 ai fini della stadiazione, in quanto assai raramente e di solito tardivamente compaiono metastasi a questo livello, ma è buona norma eseguirlo trattandosi di animali anziani da sottoporre ad anestesia, per i quali la valutazione del quadro polmonare potrebbe fornire utili informazioni sul loro stato generale.
Molto importante è invece la biopsia ad ago sottile dei linfonodi regionali se aumentati di volume e/o consistenza. L’esame citologico per apposizione su lesioni cutanee è invece da sconsigliare, in quanto quasi sempre associato a esito di processo infiammatorio, spesso presente secondariamente sulla lesione, che potrebbe quindi essere sotto-diagnosticata. La scarificazione profonda con lama da bisturi e la raccolta del materiale ottenuto può fornire risultati migliori. La biopsia ad ago sottile per ago infissione (possibilmente con ago di piccolo calibro) può fornire risultati utili quando la lesione è proliferativa o invade profondamente i tessuti. La conferma diagnostica si ha comunque solo con l’esame istologico, che va sempre eseguito quando l’esame citologico ha fornito esito di processo infiammatorio, e tutte le volte che questo non può essere eseguito. Il metodo più semplice per ottenere il campione è eseguire una piccola biopsia incisionale mediante lama da bisturi o (ad esempio per lesioni a carico del piano nasale) tramite punch. Importante è ottenere un campione a tutto spessore della cute, che fornisce informazioni sull’estensione della patologia, estremamente utili ai fini prognostici (Tab. 1). Come dimostrato da Favrot et at. (2009)11, la distinzione istologica tra CA e MB non è sempre semplice, ma entrambe le lesioni vanno comunque considerate come pre-neoplastiche e trattate di conseguenza.

Stadio

Dimensioni

Profondità

Tis

Carcinoma pre-invasivo

T1

< 2 cm

Superficiale

T2

2-5 cm

Minima invasione indipendentemente dalle dimensioni

T3

> 5 cm

Invasione del sottocute indipendentemente dalle dimensioni

T4

Qualsiasi

Invasione di fascia, cartilagine, muscolo o osso

Tabella 1. Sistema di stadiazione dei tumori per il CS cutaneo del gatto secondo Owen (1980). Alle informazioni sulla lesione si associano quelle relative ai linfonodi (N) e alle metastasi lontane (M).

Come evidenziato dalla stadiazione riportata in Tabella 1, il fattore che maggiormente influenza la prognosi è il grado di invasione dei piani profondi; sebbene, infatti, sia poco frequente riscontrare lesioni di diametro superiore ai 5 cm in un gatto, molto spesso le lesioni hanno già invaso il sottocute e sono pertanto da considerare come T3, anche a fronte di dimensioni più ridotte. Sulla base di queste valutazioni e delle condizioni cliniche del gatto è possibile stabilire le possibili strategie terapeutiche da adottare.

AnchorTERAPIA
Le opzioni terapeutiche per la cura del CS cutaneo del gatto sono molteplici, ma le reali possibilità di cura sono legate soprattutto alla precocità della diagnosi, quindi all’invasività delle lesioni.
Per la CA, la MB e gli stadi da Tis a T2 del CS tutte le opzioni forniscono buoni risultati, sebbene l’escissione chirurgica rappresenti la modalità spesso più semplice e risolutiva. In particolare, la conchectomia (Fig. 6), così come l’asportazione di lesioni localizzate al tronco, è di semplice esecuzione, rapida, e non presenta alcuna difficoltà di guarigione.


Un po’ più complessa può essere l’asportazione con margine di carcinomi delle palpebre, che richiedono tecniche di chirurgia plastica per la ricostruzione del difetto creato3,16,27 (Fig. 7).




Anche la nosectomia può essere vista dai proprietari come un intervento particolarmente deturpante, ma è generalmente ben tollerata dall’animale, sebbene i primi giorni post-intervento possano essere un po’ impegnativi a causa delle croste che si formano nella sede chirurgica e che possono interferire con la respirazione35. Passato il disagio dei primi giorni, il risultato estetico e funzionale è però buono (Fig. 8). Diverso può invece essere quello oncologico, in quanto la particolare sede anatomica rende difficile ottenere margini chirurgici “puliti”, a meno che la lesione sia molto superficiale. Per questo motivo è importante la scelta del paziente e la pianificazione della terapia, che può prevedere altre forme di trattamento oltre la chirurgia in caso di lesioni in stadio avanzato.

La terapia fotodinamica è una valida alternativa alla chirurgia per le forme molto superficiali e poco estese di CS o per le lesioni pre-neoplastiche. Sebbene sia necessaria l’anestesia generale per la sua applicazione, solitamente un solo trattamento è sufficiente ad ottenere il risultato desiderato. Sono disponibili diversi agenti fotosensibilizzanti, da utilizzare sia per applicazione locale sia per somministrazione endovenosa, a seconda del principio attivo e della lunghezza d’onda della fonte di luce disponibile per l’irradiazione. Un lavoro30 riporta una remissione completa di lesioni in stadio Tis - T1 pari all’85% utilizzando un fotosensibilizzante topico (acido 5-aminolevulinico), sebbene la recidiva sia poi comparsa nel 63,6% dei soggetti entro un tempo mediano di 21 settimane. Con lo stesso agente Bexfield et al. (2009)6 hanno ottenuto un’analoga percentuale di risposta completa, ma il 51% di recidiva locale entro 28 settimane e 45% dei gatti vivi dopo una mediana di 1146 giorni. L’impiego di un nuovo fotosensibilizzante veicolato in liposomi e somministrato per via endovenosa alcune ore prima dell’esposizione alla luce della lunghezza d’onda appropriata ha portato al 100% di risposta completa, all’abbassamento della recidiva locale al 20% entro 24 settimane e al controllo ad 1 anno nel 75% dei casi8. Il vantaggio di questa tecnica, oltre all’ottimo risultato estetico (Fig. 9), è che può essere ripetuta più volte in caso di recidiva o di mancata risposta completa. Lo svantaggio rispetto alla chirurgia (come per tutte le terapie non chirurgiche) è l’impossibilità di valutare il margine dell’area trattata e il fatto che l’animale deve restare al riparo dai raggi solari per alcuni giorni dopo il trattamento.


Altro trattamento locale utile per lesioni in stadi precoci è l’infiltrazione locale con chemioterapici; i più utilizzati sono la bleomicina e i composti del platino, che possono essere anche associati a radioterapia come radiosensibilizzanti. In un lavoro in cui è stata utilizzata tale associazione10 la risposta è stata del 100% e il follow-up mediano è stato di 268 giorni. Il cisplatino, in particolare, altamente tossico e non utilizzato per via sistemica nel gatto, può invece essere somministrato localmente senza alcun problema. Anche in questo caso è necessaria l’anestesia generale, in quanto l’infiltrazione è molto dolorosa, e il trattamento deve essere ripetuto più volte per essere efficace. Il protocollo utilizzato dall’autore prevede 8 applicazioni effettuate una volta la settimana per 4 volte, poi ogni 15 giorni per altre 4 volte (Fig. 10). L’inoculazione avviene con un ago di piccolo calibro, in senso centripeto attorno alla lesione, comprendendo alcuni mm di tessuto macroscopicamente sano.




Con questo metodo e utilizzando carboplatino alla dose di 1,5 mg/cm3 di lesione Théon et al. (1996)33 hanno ottenuto una risposta completa pari al 73,3%, ma la recidiva si è verificata in 7 dei 15 gatti trattati. Per aumentare la permanenza locale del farmaco è stato suggerito di veicolarlo in sostanze che agiscano sulla vascolarizzazione locale (es. epinefrina associata a collagene bovino)17, che aumentino l’infiammazione locale e favoriscano il lento rilascio del farmaco (olio di sesamo)33 o lo leghino (siero autologo). Pubblicazioni successive28 hanno dimostrato come il legame del carboplatino con le proteine plasmatiche sia minore rispetto a quello del cisplatino, pertanto l’aumento del volume da inoculare legato all’aggiunta del siero autologo è giustificabile solo nel caso dell’impiego del cisplatino e non del carboplatino. Il limite di questa tecnica, oltre alle anestesie ripetute, è dato dall’invasività del tumore, dalla scarsa capacità di penetrazione del farmaco nei tessuti e dalla sua dispersione nell’ambiente circostante per un periodo difficile da quantificare, con conseguente, anche se minimo, pericolo per l’operatore e per chi manipola l’animale dopo la terapia.
Per ovviare a tale problema e rendere più efficace la penetrazione intracellulare del farmaco si può ricorrere all’elettrochemioterapia29, consistente nella stimolazione elettrica tramite un dispositivo dotato di una serie di aghi, della sede del tumore successivamente alla somministrazione topica o per via sistemica del chemioterapico (solitamente bleomicina o composti del platino). Sebbene anche questa tecnica possa richiedere applicazioni ripetute in anestesia generale, i risultati ottenuti appaiono promettenti.
La chemioterapia sistemica con gli stessi farmaci impiegati localmente è invece scarsamente utilizzata, poiché la risposta non è particolarmente buona e il controllo delle metastasi non costituisce il problema principale per questo tipo di tumore; inoltre la positività al FIV associata in una discreta percentuale di casi a questa patologia rende gli effetti collaterali più gravi e difficili da controllare.
La radioterapia con apparecchi a orto- o megavoltaggio offre buoni risultati soprattutto per lesioni in stadio non troppo avanzato. Thèon (1995)32 riporta infatti un tasso di cura del 56% a 5 anni per lesioni in stadio T1 in seguito a trattamento con ortovoltaggio, mentre un lavoro più recente12 riporta una riposta completa del 60% per lesioni in stadio T1 in seguito a radioterapia con protoni, rispetto al 33% dei gatti con lesioni in stadio T2b (cioè con diametro > 1,5 cm e invasivi) e una sopravvivenza mediana di 946 giorni. Melzer et al. (2006)19 hanno evidenziato una correlazione positiva tra risposta alla radioterapia e elevata positività per Ki67, un indice di proliferazione cellulare solitamente associato a prognosi peggiore; questo probabilmente è dovuto alla maggior sensibilità al trattamento delle cellule in rapida moltiplicazione. In questo lavoro si è ottenuta una risposta completa nel 94% dei casi, sebbene la recidiva sia comparsa in 6 dei 17 gatti in tempi piuttosto brevi (21-414 giorni), e un tempo libero da malattia mediano di 414 giorni. In questo studio il grado non appare un fattore prognostico importante (Fig. 11).



Una forma più superficiale di trattamento radiante, adatto quindi a lesioni in stadio precoce, è la plesioterapia con 90Stronzio, consistente nell’applicazione della fonte radioattiva a diretto contatto con la lesione. Sette gatti trattati con 5 applicazioni (dose totale di 50 Gy) hanno avuto una risposta completa del 73%, mentre del restante 27% che aveva ottenuto una risposta parziale la metà è stata sottoposta a un nuovo ciclo di trattamento che ha indotto la risposta completa. Il tempo medio libero da malattia è stato di 652 giorni14. Gli animali compresi in questo studio avevano lesioni non più estese dello stadio T2. Gli effetti collaterali di questa tecnica sono minimi e il limite è rappresentato dalla profondità e dall’estensione della malattia, ma, con un’accurata scelta del paziente, i risultati sia oncologici sia estetici sono buoni. Risultati ancora più incoraggianti sono stati pubblicati da Hammond et al.15, che in una serie di 49 gatti hanno ottenuto una risposta completa nell’88% dei casi utilizzando una singola applicazione, con un tempo libero da malattia di 1710 giorni.
Per le lesioni molto superficiali è anche possibile effettuare un trattamento topico con crema a base di imiquimod 5%13,25. Il trattamento di 12 gatti con lesioni multiple ai quali la crema era applicata 1 volta al giorno o 3 volte la settimana, ha portato a una risposta iniziale in tutti i soggetti; il 75% di questi ha però successivamente sviluppato nuove lesioni. Tutti i gatti tranne 1 sono stati trattati a vita e il tempo mediano per la progressione della malattia è stato di 243 giorni, mentre la probabilità mediana di sopravvivenza di 1189 giorni. Peters-Kennedy et al.25, invece, riportano un buon risultato per il trattamento di un gatto con lesioni sui padiglioni auricolari, ma scarso effetto nello stesso soggetto per una lesione sul piano nasale. In tutti i casi l’effetto collaterale è stato la presenza di eritema e talvolta anche di segni sistemici che hanno indotto a modificare le modalità di somministrazione.
Altre tecniche utilizzate con risultati più o meno incoraggianti a seconda dell’estensione della patologia sono la criochirurgia, la terapia con laser, l’ipertermia e la somministrazione orale di retinoidi.

AnchorPROGNOSI
Pur trattandosi di una forma maligna, il decorso del CS cutaneo del gatto è piuttosto lento e dalla comparsa delle lesioni preneoplastiche alla morte causata dal tumore possono intercorrere anni. Nonostante questo è possibile individuare fattori che possono fornire indicazioni prognostiche. Tra questi si ricordano il grado di differenziazione del tumore7: maggiore è la differenziazione migliore è la prognosi; la positività per l’espressone del recettore per l’EGF (Epidermal Growth Factor) è associata a prognosi peggiore26, così come la elevata concentrazione ematica di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor)8, mentre non sembra esserlo l’indice mitotico. La positività più intensa per Ki67, un indice di proliferazione cellulare, è stata associata ad un lungo tempo libero da malattia e ad una migliore risposta al trattamento radioterapico accelerato in un altro studio19. Le dimensioni del tumore, intese soprattutto come invasività locale (il T della stadiazione TNM) rappresentano un fattore prognostico negativo: all’aumentare del T diminuisce la risposta alle terapie.
La positività per FIV non costituisce invece un fattore prognostico negativo in senso assoluto, ma può peggiorare gli effetti collaterali delle terapie effettuate.

AnchorPREVENZIONE
Come spesso accade in medicina veterinaria, la miglior forma di prevenzione è la diagnosi precoce. In questo caso particolare, la diagnosi e il trattamento di lesioni pre-tumorali sono semplici e offrono buone possibilità di cura o di controllo a lungo termine. È quindi importante educare i proprietari a non sottovalutare il problema, soprattutto in soggetti predisposti, quali i gatti a mantello chiaro. In questi casi, utile ma difficile da realizzare se il gatto vive all’aperto, è controllarne l’esposizione diretta ai raggi solari. L’impiego di creme a schermo totale è più teorica che pratica, così come la possibilità di tatuare le aree di cute più a rischio.

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