Chetoacidosi diabetica nel cane e nel gatto
- Disciplina: Endocrinologia
- Specie: Cane e Gatto
La chetoacidosi diabetica (DKA, diabetic ketoacidosis) rappresenta un’emergenza di ordine medico secondaria ad uno stato di diabete mellito. Tale patologia può presentarsi come manifestazione iniziale del diabete, ma può insorgere in qualsiasi momento in pazienti già in terapia come risultato di una carenza assoluta o relativa di insulina.
DEFINIZIONE
La chetoacidosi diabetica è definita come uno stato di iperglicemia, glicosuria, chetonuria (chetonemia) associata ad acidosi metabolica (pH <7,35, bicarbonati <15 mmol/L).
EPIDEMIOLOGIA
Solitamente i soggetti colpiti sono cani o gatti affetti da diabete mellito precedentemente non diagnosticato. Con minor frequenza ciò accade in animali diabetici già in terapia con un inadeguato dosaggio insulinico in concomitanza a processi infettivi, infiammatori od alterazioni metaboliche.
Il segnalamento dei cani e gatti con DKA corrisponde a quello dei soggetti affetti da diabete mellito, vista la stretta correlazione tra le due patologie. La chetoacidosi diabetica, sebbene possa essere diagnosticata a qualsiasi età, si osserva più frequentemente in soggetti di età medio-avanzata (4-14 anni). Tale patologia nel cane colpisce più di frequente le femmine, al contrario nei gatti è più comune nei maschi.
PATOGENESI
La DKA è la conseguenza di una deficienza relativa od assoluta di insulina, associata ad un aumento della concentrazione degli ormoni controregolatori della glicemia quali glucagone, cortisolo, catecolamine ed ormone somatotropo. L’insulina viene normalmente prodotta e secreta dalle cellule β pancreatiche in risposta ad un aumento della glicemia. Tale ormone, infatti, permette l’ingresso di glucosio nella maggior parte delle cellule e in particolare fornisce energia al tessuto muscolare, epatico e adiposo.
In corso di carenza insulinica si instaura pertanto iperglicemia ad opera di quattro meccanismi quali: 1) un incremento della gluconeogenesi, 2) un’accelerata glicogenolisi 3) un aumento delle concentrazioni di glucagone e degli ormoni controregolatori (glucagone, catecolamine, cortisolo ed ormone somatotropo) 4) impossibilità dell’utilizzo del glucosio da parte dei tessuti.
Essendo il glucosio il principale substrato energetico, in corso di marcato deficit della disponibilità di insulina si avrà uno spostamento del metabolismo basato sull’ossidazione del glucosio, ad un metabolismo ossidativo lipidico. La maggior parte delle cellule è infatti in grado di utilizzare gli acidi grassi liberi (Free Fatty Acids, FFA) come fonte energetica alternativa: questo non avviene tuttavia a livello di cellule nervose.
Gli FFA sono rilasciati in grande quantità per idrolisi dei trigliceridi nel tessuto adiposo, poi trasportati a livello epatico, dove sono convertiti all’interno dell’epatocita in corpi chetonici (β-idrossibutirrato, aceto-acetato, acetone). In particolare, l’ossidazione dei FFA, determina la formazione di aceto- acetato, il quale in presenza di NADH è ridotto a sua volta β-idrossibutirrato. L’acetone è invece il risultato della decarbossilazione spontanea dell’aceto-acetato.
L’accumulo di tali corpi chetonici esita in uno stato di acidosi metabolica e la loro continua eliminazione attraverso i reni aggrava la diuresi osmotica, la disidratazione e la perdita di elettroliti.
Il deficit insulinico può essere determinato da una carenza insulinica assoluta (insufficiente funzionalità delle cellule β del pancreas, interruzione della terapia insulinica o insufficiente dosaggio) e/o una concomitante carenza relativa di insulina data da insulino-resistenza periferica. Ciò si può verificare in corso di stati infiammatori/infettivi, in particolare pancreatiti ed infezioni delle vie genito-urinarie, squilibri ormonali (diestro, sindrome di Cushing) od insufficienze d’organo durante i quali si associa un rilascio degli ormoni controregolatori ad azione iperglicemizzante.
SINTOMATOLOGIA CLINICA
Le manifestazioni cliniche della chetoacidosi diabetica sono variabili, dipendono dalla gravità e dall’eventuale presenza di patologie concomitanti. Generalmente includono: poliuria/polidipsia, vomito, disidratazione, anoressia, letargia, astenia, perdita di peso, pelo poco curato e talvolta può essere presente dolore addominale.
Poliuria/polidipsia (pu/pd): con l’aumento della glicemia viene meno la capacità del tubulo contorto prossimale di riassorbire il glucosio con sviluppo di glicosuria e conseguente diuresi osmotica. Analogamente, ciò accade per i corpi chetonici, il cui aumento a livello ematico e conseguentemente urinario aggrava la diuresi osmotica, aumentando l’escrezione dei soluti quali sodio, potassio e magnesio e incrementando lo stato di disidratazione del paziente.
Sintomi gastroenterici: vomito e diarrea possono essere l’esito di una patologia concomitante come un processo infiammatorio a carico di pancreas, peritoneo, utero ed altri organi addominali. In particolare, il vomito è causato da una stimolazione della zona chemorecettoriale (chemoreceptor trigger zone, CRTZ), in quest’area la barriera ematoencefalica è meno efficace e quindi più sensibile agli squilibri acido-base, alle alterazioni elettrolitiche ed alle variazioni di osmolarità.
Perdita di peso ed anoressia: generalmente in corso di diabete mellito compensato si ha polifagia associata a dimagramento in quanto il deficit insulinico determina sia una mancata inibizione del centro della fame, sia una incapacità di utilizzare il glucosio come fonte energetica da parte dei tessuti periferici. Al contrario, nella chetoacidosi diabetica prevale l’anoressia.
Disidratazione/ipovolemia: spesso i soggetti arrivano a perdere il 10-12% del peso corporeo, è ciò è il risultato di un’eccessiva perdita renale di acqua ed elettroliti, secondaria a glicosuria e chetonuria. Inoltre, i ripetuti episodi di vomito e diarrea, uniti alla mancata assunzione di acqua esitano in uno stato di ipoperfusione dei tessuti e quindi iperazotemia pre-renale ed acidosi lattica.
Depressione del sensorio: che può arrivare fino al coma, risulta imputabile allo stato di disidratazione, di shock, di acidosi grave ed iperglicemia/iperosmolarità.
Respiro di Kussmaul: ovvero atti respiratori rapidi e profondi secondari al grave stato di acidosi metabolica. E’ una forma di iperventilazione compensatoria in cui l’aumento della frequenza respiratoria ha lo scopo di incrementare l’eliminazione di anidride carbonica a fronte di una riduzione del pH ematico. Talvolta, può essere presente un odore di acetone nell’alito del paziente.
Visita clinica: può talvolta rilevare dolore alla palpazione addominale. Può essere anche riscontrata epatomegalia e nel gatto può essere presente ittero come conseguenza di una grave lipidosi epatica, di una pancreatite o di una neoplasia pancreatica che provoca colestasi.
DIAGNOSI
I quattro segni laboratoristici diagnostici della chetoacidosi diabetica sono iperglicemia (generalmente >250mg/dl), glicosuria, chetonuria ed acidosi metabolica (pH < 7,5, HCO3 < 15 mEq/L).
ESAMI DI LABORATORIO
Emogasanalisi
I reperti tipici riscontrati sono uno stato di acidosi metabolica, più o meno compensata, a cui si associa un aumento dell’anion gap (AG). In condizioni di acidosi metabolica si osserva pertanto una diminuzione del pH ematico e/o una riduzione dei livelli di bicarbonati sierici (HCO3-), associata o meno ad una diminuzione compensatoria della pressione parziale di anidride carbonica (pCO2).
L’acidosi metabolica è la conseguenza dei seguenti meccanismi: 1) produzione di corpi chetonici, 2) produzione di acido lattico da parte dei tessuti, 3) ritenzione di fosfati a livello renale e 4) perdita di elettroliti e bicarbonati con le urine.
L’AG è il valore calcolato dalla differenza tra i cationi (Na+, K+) e gli anioni misurati (Cl-, HCO3-) e rappresenta quindi la quantità di anioni non misurati quali i lattati, i fosfati, le proteine, i metaboliti del glicole etilenico ed i corpi chetonici.
Esame emocromocitometrico
Secondariamente allo stato di disidratazione spesso risulta evidente un aumento del valore ematocrito. Nel gatto, in particolare, è comune la presenza di anemia e leucocitosi; nel cane, invece, è di frequente riscontro un’anemia non rigenerativa, associata a neutrofilia immatura e trombocitosi.
Profilo biochimico
Il profilo biochimico spesso può mostrare, oltre ad iperglicemia, un aumento degli enzimi epatici (aspartato amino transferasi, alanina-aminotransferasi e fosfatasi alcalina), che può essere secondario allo stato di ipovolemia che esita, quindi, in una minor perfusione epatica, oppure, in particolare nel gatto, ad un concomitante stato di lipidosi epatica. L’ipovolemia può determinare una condizione di azotemia pre-renale con incremento di urea e creatinina.
Le alterazioni elettrolitiche includono: iponatremia, ipocloremia, ipocalcemia, ed ipomagnesemia. Per quanto riguarda le concentrazioni di potassio e fosforo, queste, possono risultare aumentate, diminuite o normali. Nel gatto, particolare importanza assume l’ipofosfatemia (concentrazioni plasmatiche di fosforo < 0,5 mmol/L) che può causare una crisi emolitica acuta.
Elevati valori di glicemia determinano anche un aumento dell’osmolarità plasmatica. L’osmolarità plasmatica può essere misurata direttamente oppure calcolata con la seguente formula:
Osmolarità (mOsm/kg) = 2(Na+ ) + Glucosio(mg/dl)/18 + Urea(mg/dl)/2,8
Il sodio ed il glucosio sono infatti i due principali elettroliti che contribuiscono all’aumento dell’osmolarità plasmatica, essendo l’urea un osmole inattivo, in quanto capace di diffondere attraverso le membrane. Anche i corpi chetonici ed altre sostanze (tossici, alcooli o glicoli) possono essere responsabili di un incremento dell’osmolarità.
L’iperosmolarità è definita nel cane e nel gatto quando si hanno dei valori superiori a 330 mOsm/kg, tale condizione determina uno spostamento di acqua negli spazi extracellulari, determinando disidratazione cellulare; in particolare a livello neuronale determina la comparsa di segni neurologici quali disorientamento, letargia, depressione, convulsioni e coma.
Esame chimico-fisico delle urine
L’analisi delle urine rileva glicosuria e inizialmente può non essere presente chetonuria. Le strisce reattive (Fig. 1) comunemente utilizzate per la determinazione dei chetoni nelle urine valutano, infatti, la concentrazione di aceto-acetato ed in minima parte di acetone mentre in corso di DKA è il β-idrossibutirrato il chetoacido più rappresentato; quest’ultimo si forma a partire dall’aceto-acetato in presenza di ioni idrogeno, quindi, maggiore sarà lo stato di acidosi del paziente più elevata sarà la concentrazione di β-idrossibutirrato. I limiti della rilevazione con le strisce reattive urinarie hanno richiesto lo sviluppo di metodiche per la valutazione del β-idrossibutirrato ematico. Ad oggi, si trovano in commercio alcuni strumenti portatili, validati nel cane e nel gatto, per la valutazione rapida ed istantanea delle concentrazioni ematiche di β-idrossibutirrato (Fig. 2).
È importante inoltre eseguire un esame batteriologico delle urine con eventuale antibiogramma, infatti, nel 20% dei cani con DKA si riscontra crescita di batteri nonostante l’assenza di leucocituria.
TERAPIA
La chetoacidosi diabetica è uno dei disturbi metabolici più complessi ed il suo trattamento è impegnativo e richiede una terapia intensiva. Soprattutto nelle prime ore risulta necessario uno stretto monitoraggio con frequenti e costanti valutazioni delle condizioni cliniche e laboratoristiche al fine di apportare adeguate correzioni al protocollo terapeutico.
Gli obiettivi del trattamento sono: 1) ripristinare il volume di liquidi circolante, 2) correggere la disidratazione e le alterazioni elettrolitiche, 3) correggere l’acidosi, 4) ridurre gradualmente la glicemia, 5) fornire quantità sufficienti di insulina al fine di normalizzare il metabolismo glucidico ed 6) individuare e trattare la patologia concomitante/scatenante.
Una terapia appropriata non deve mirare ad un ritorno alla normalità nel più breve tempo possibile, infatti, un intervento affrettato può risultare dannoso, creando squilibri osmotici, biochimici e rapidi cambiamenti nei parametri vitali possono risultare più pericolosi del mancato trattamento. Riportando i parametri ematobiochimici gradualmente (36-48 ore) alla normalità la probabilità di successo terapeutico è maggiore.
Il trattamento prevede fluidoterapia, supplementi elettrolitici, terapia insulinica e uno stretto monitoraggio.
Fluidoterapia
Il primo passo nel trattamento della chetoacidosi diabetica è sempre un’adeguata fluidoterapia, che è volta a ripristinare la volemia, correggere l’eventuale stato di shock ed aumentare la pressione sanguigna con conseguente adeguata riperfusione dei tessuti, correzione dei deficit elettrolitici e riduzione della glicemia. Risulta quindi importante inserire un catetere venoso (idealmente centrale o in alternativa periferico di grosso calibro) al fine di iniziare la somministrazione di fluidi per via endovenosa. Sarà necessario calcolare la quantità di fluidi necessaria per correggere l’80% del deficit in 10 ore secondo tale formula:
percentuale di disidratazione x peso corporeo (Kg) x 10 = deficit in ml
aggiungendo poi la quota di mantenimento, ovvero circa 2,2 ml/kg/h, e le eventuali perdite addizionali (vomito, diarrea e poliuria).
Ulteriori modificazioni potranno essere apportate in seguito ad un accurato monitoraggio dello stato idrico, della produzione urinaria, dell’azotemia e della persistenza di vomito. A meno che la valutazione iniziale degli elettroliti non imponga altre scelte, il fluido endovenoso iniziale di scelta è la soluzione fisiologica (cloruro di sodio 0,9%), in quanto i soggetti con DKA in spesso manifestano iponatremia. Successivamente, il tipo di soluzione viene modificato in base alla concentrazione plasmatica di sodio e alla concentrazione degli altri elettroliti. Altre soluzioni cristalloidi adeguate sono i fluidi isotonici come la soluzione di Ringer Lattato o Ringer Acetato.
Fluidi ipotonici, come la soluzione salina 0,45%, vanno generalmente evitati poiché, anche in caso di grave iperosmolarità, rischiano di abbassare l’osmolarità plasmatica troppo rapidamente con potenziali gravi ripercussioni sul sistema nervoso centrale.
Supplementazione di potassio
Generalmente i soggetti con chetoacidosi diabetica hanno inizialmente concentrazioni sieriche di potassio normali o diminuite. E’ importante ricordare che i livelli ematici di potassio diminuiscono rapidamente a causa: 1) della fluidoterapia, quindi per diluizione, 2) del passaggio dallo spazio extracellulare allo spazio intracellulare con la correzione dell’acidosi metabolica, 3) del co-trasporto di potassio e glucosio all’interno delle cellule ad opera dell’insulina.
La supplementazione sarà pertanto necessaria per ripristinare i deficit e prevenire una ipokaliemia grave prima dell’inizio della terapia insulinica. Eccezione è fatta per i soggetti con iperkaliemia associata ad insufficienza renale oligurica, nei quali è indicato, prima dell’integrazione con potassio, attendere il ripristino di un’adeguata filtrazione glomerulare e l’aumento dell’output urinario. L’ipokaliemia determina debolezza muscolare, ventroflessione del collo (gatto), aritmie cardiache fino, nei casi più gravi, ad insufficienza dei muscoli respiratori.
Idealmente la quantità di potassio da supplementare si basa sulla valutazione della concentrazione sierica di potassio al momento del ricovero, successivamente la concentrazione degli elettroliti andrà monitorata dopo 2 ore quindi integrata secondo la tabella 1. La supplementazione di potassio non deve mai superare 0,5 mmol/Kg/ora, al fine di evitare aritmie cardiache.
Linee guide standard | Linee guida per DKA | |
K+sierico (mEq/L) |
Supplementazione KCl mEq/L | Supplementazione KCl mEq/L |
>5,0 4,0-5,5 3,5-4,0 3,0-3,5 2,5-3,0 2,0-2,5 <2 |
Attendere 10 20 30 40 60 80 |
Attendere 20-30 30-40 40-50 50-60 60-80 80 |
Tabella 1: Linee guida per la supplementazione di potassio alla fluidoterpia in condizioni normali ed in corso di chetoacidosi diabetica.
Supplementazione di fosfato
La maggior parte dei cani e gatti con chetoacidosi diabetica presenta alla diagnosi livelli di fosforo normali o diminuiti. Dopo la terapia fluida può svilupparsi grave ipofosfatemia, come risultato degli effetti di diluizione della fluidoterapia, dello spostamento intracellulare del fosforo dopo l’inizio della terapia insulinica e delle continue perdite gastroenteriche e renali. L’ipofosfatemia ha ripercussioni soprattutto a livello ematico e neuromuscolare, esitando in crisi emolitiche che se non prontamente trattate possono risultare potenzialmente mortali. L’ipofosfatemia può inoltre risultare clinicamente silente o determinare debolezza o addirittura convulsioni.
La supplementazione di fosforo è indicata nel caso in cui si osservino segni clinici o presenza di emolisi, o nel caso in cui i livelli sierici risultino inferiori a 0,5 mmol/L nel cane e 0,8 mmol/L nel gatto. La somministrazione di fosfato di potassio (KPO4) deve essere effettuata in infusione continua in aggiunta alla fluidoterapia alle dosi di 0,03 fino a 0,12 mmol/kg/h, monitorando ogni 8-12 ore la concentrazione di fosforo sierico e modificando di conseguenza l’infusione, fino a sospenderla qualora si presenti ipocalcemia. La supplementazione non è indicata nei soggetti con ipercalcemia, iperfosfatemia e deficit della funzionalità renale.
Supplementazione di magnesio
L’ipomagnesemia è comune nei soggetti con DKA, spesso peggiora dopo l’inizio del trattamento, per risolversi senza necessità di terapia alla risoluzione della chetoacidosi diabetica. I segni clinici si verificano quando la concentrazione di magnesio sierico totale e ionizzato scende al di sotto di 1 e 0,5 mg/dl rispettivamente. Tale condizione non viene trattata a meno che non insorgano sintomi quali letargia persistente, anoressia, astenia o ipocalcemia o ipokaliemia refrattarie dopo 24-48 ore di fluidoterapia. In quei casi è indicato supplementare con magnesio solfato (4 mEq/mL) in infusione continua alla dose di 0,5-1 mEq/Kg/giorno.
Terapia con bicarbonato
Nella maggior parte dei casi, la correzione dell'ipovolemia ripristina anche l'equilibrio acido-base. La somministrazione di bicarbonato al fine di correggere l'acidosi metabolica risulta spesso superflua e persino potenzialmente dannosa. Sono stati infatti descritti diversi effetti indesiderati conseguenti alla supplementazione con bicarbonato: 1) aumentato rischio di ipokaliemia, 2) aumento dell’affinità dell'emoglobina per l’ossigeno con conseguente minor rilascio ai tessuti, 3) rischio di alcalosi, 4) acidosi paradossa 5) ritardo nella riduzione dei lattati e dei corpi chetonici.
La terapia con bicarbonato deve quindi essere presa in considerazione soltanto nei casi estremi e nel caso in cui sia possibile effettuare un monitoraggio emogasanalitico durante il trattamento. La soluzione di bicarbonato può eventualmente essere presa in considerazione se il pH risulta <7,1, se iHCO3- <11 mEq/L e se non vi è una concomitante insufficienza renale.
Il deficit di bicarbonato in mmol può essere calcolato come segue:
mEq HCO3- = Peso corporeo (kg) x 0,3 x (12-bicarbonati del soggetto) x 0,5
Questa quantità deve essere somministrata in 6-12 ore sotto stretto monitoraggio emogasanalitico.
Terapia insulinica
La terapia insulinica dovrebbe essere intrapresa solo dopo 4-8 ore dall’inizio della fluidoterapia e della supplementazione di potassio; ciò permette di intervenire in un paziente maggiormente reidratato e con minori squilibri elettrolitici.
La somministrazione di insulina cristallina regolare può avvenire per via intramuscolare con somministrazioni intermittenti o in infusione continua (opzione di prima scelta). In entrambi i casi, l’obiettivo è quello di ridurre la glicemia ed interrompere la chetogenesi in modo graduale e controllato, diminuire la diuresi osmotica e migliorare lo stato acido-base.
Il monitoraggio glicemico deve essere piuttosto frequente, con valutazione della glicemia mediante glucometro portatile ogni ora nelle prime 24 ore e successivamente ogni 2 ore. E’ importante utilizzare strumenti validati per il cane ed il gatto; infatti, molti glucometri tendono a sottostimare la glicemia reale. Inoltre, appare di grande utilità il monitoraggio con strumenti portatili, che valutano le concentrazioni ematiche di β-idrossibutirrato. La valutazione della chetonemia mediante strumenti portatili permette misurazioni frequenti, rispecchia in modo efficace l’interruzione del processo di chetogenesi e risulta meno difficoltoso rispetto alla misurazione della chetonuria. Tale metodica è ormai di uso comune in medicina umana e l’American Diabetes Association consiglia l’utilizzo di strumenti portatili per la valutazione del β-idrossibutirrato dal sangue capillare.
Nell’uomo viene utilizzato come valore cut-off una concentrazione di β-idrossibutirrato ≥3,0 mmol/L, tale concentrazione risulta fortemente indicativa di DKA. Recenti studi in medicina veterinaria hanno stabilito come nel cane, valori di β-idrossibutirrato ≥ 3,8 mmol/L (Duarte e coll. 2002) o ≥ 3,5 mmol/L (Di Tommaso, e coll., 2009) appaiono fortemente indicativi di chetoacidosi diabetica clinicamente manifesta.
Le valutazioni emogasanalitiche forniscono informazioni in merito allo stato acido-base e all’equilibrio elettrolitico permettendo di adeguare la terapia, tale esame dovrebbe essere effettuato ogni 8 ore nelle prime 24 e successivamente ogni 12 ore.
Somministrazione insulinica in infusione continua endovenosa
- Somministrare inizialmente insulina regolare mediante un nuovo accesso venoso periferico.
- La quantità insulinica da somministrare è pari a 0,09 U/Kg/h (2,2 U/Kg nelle 24 h) nel cane e 0,04 U/kg/h nel gatto (1,1 U/Kg nelle 24 h).
- Aggiungere alla quantità di insulina (2,2 U/Kg nel cane o 1,1U/Kg nel gatto) 50 ml di soluzione fisiologica allo 0,9%. Bisogna porre particolare attenzione in quanto l’insulina tende ad aderire al materiale sintetico con il quale sono costituite le vie di infusione, pertanto, prima di iniziare l’infusione continua risulterà fondamentale fare scorrere lungo l’intera via almeno 50 ml della soluzione composta da insulina e NaCl 0,9%. Una nuova soluzione verrà quindi utilizzata per iniziare l’infusione continua.
- Iniziare l’infusione con una pompa da infusione o ancora meglio con una pompa a siringa ad una velocità di 2 ml/h (Tab. 2). Quando la glicemia risulta inferiore a 250 mg/dl è necessario ridurre la velocità d’infusione del 25-50% come riportato nella tabella 2 ed intraprendere una fluidoterapia con soluzione glucosata al 2,5% integrata di potassio.
- Continuare l’infusione continua di insulina fino a quando non risulti più presente chetonemia e/o chetonuria ed il pH risulti >7,3. Già dopo 12-24 ore, se l’animale non vomita, provare a somministrare dell’alimento. Iniziare quindi la somministrazione di insulina rapida per via sottocutanea ad un dosaggio di 0,1-0,4 UI/Kg ogni 6-8 ore.
- Qualora le condizioni cliniche del soggetto risultino stazionarie stabilizzate e con tendenza a migliorare, è possibile passare al trattamento con insulina ad azione lenta o ultralenta alla dose di 0,25-0,5 U/Kg SC, ogni 12 ore in concomitanza del pasto.
Glicemia (mg/dl) | Velocità di infusione della soluzione con insulina (ml/h) | Tipo di fluidi |
≥ 250 | 2 | 0,9% NaCl |
200-250 | 1,5 | 0,45% NaCl + glucosata 2,5% |
150-200 | 1 | 0,45% NaCl + glucosata 2,5% |
100-150 | 1 | 0,45% NaCl +glucosata 2,5% |
≤ 100 | Sospendere | 0,45% NaCl + glucosata 5% |
Tabella 2: Velocità d’infusione della soluzione costituita da insulina regolare cristallina “R”,al dosaggio di 2,2 U/Kg (cane) o 1,1 U/Kg (gatto) in 50 ml di NaCl 0,9% e tipo di fluidi da utilizzare in funzione della glicemia.
Somministrazione intramuscolare
- Somministrare esclusivamente insulina cristallina regolare “R” IM
- Dosaggio iniziale 0,2 U/Kg IM, poi 0,1 U/Kg IM ogni ora fino a quando la glicemia risulta <250 mg/dl, quindi somministrare 0,1-0,4 U/Kg SC ogni 4-6 oreed iniziare la somministrazione di soluzione glucosata al 2,5%. Idealmente, la concentrazione di glucosio nel sangue dovrebbe essere ridotta di 54 mg/dl/ora, al fine evitare grandi variazioni nell'osmolarità che possono avere effetti neurologici deleteri.
- Provare ad alimentare il soggetto dopo 12-24 ore di terapia. Continuare la somministrazione di insulina fino a quando non siano più presenti corpi chetonici nelle urine ed il paziente abbia cominciato ad alimentarsi spontaneamente. A questo punto iniziare la somministrazione di insulina rapida sotto cute alla dose di 0,1-0,4 U/Kg ogni 6-8 ore.
- Quando le condizioni cliniche dell’animale sono stabili, non vomita e si alimenta spontaneamente almeno da 2 giorni, iniziare il trattamento sottocute con insulina lenta o ultralenta alla dose di 0,25-0,5 U/Kg sottocute ogni 12 ore in concomitanza del pasto.
Monitoraggio nelle prime 24 ore di terapia
Risulta essenziale eseguire uno stretto monitoraggio delle condizioni cliniche ed ematobiochimiche del soggetto al fine di correggere tempestivamente squilibri elettrolitici, acido-base e condizioni di ipoglicemia. Pertanto è utile:
- Valutare la glicemia ogni ora, utilizzando possibilmente un glucometro validato per la specie nella quale lo stiamo utilizzando.
- Se possibile monitorare il β-idrossibutirrato ematico, valutato con strumento portatile, ogni 4-8 ore.
- Eseguire un emogasanalisi ed un esame chimico-fisico delle urine, ogni 8 ore.
- Valutazione dell’ematocrito, delle proteine totali e della concentrazione di fosforo ogni 12 ore.
- Ogni 4/6 ore monitoraggio dei parametri clinici, quali: temperatura, polso, respiro e tempo di riempimento capillare.
- Ogni 24 ore valutazione del peso corporeo dell’animale.
Monitoraggio nelle successive 24/48 ore di terapi
- Misurazione della glicemia con glucometro portatile ogni 2 ore e successivamente ogni 3 ore, usando possibilmente apparecchi portatili validati per i nostri animali.
- Valutazione delle concentrazioni di β-idrossibutirrato ematico con strumento portatile, ogni 4-12 ore.
- Eseguire un'emogasanalisi ed un esame chimico-fisico delle urine, ogni 12 ore.
- Valutazione dell’ematocrito, delle proteine totali e della concentrazione di fosforo ogni 24 ore.
- Ogni 24 ore monitoraggio dei parametri clinici, in particolare: temperatura, polso, respiro e tempo di riempimento capillare.
PROGNOSI
La prognosi in corso di DKA risulta in gran parte influenzata dalle patologie concomitanti, dalle complicazioni sviluppate durante il trattamento e dalla gravità dell’acidosi. Nei nostri animali, nonostante venga applicato un corretto e tempestivo protocollo terapeutico è riportata una percentuale di mortalità che varia dal 26 al 30%, questa comprende sia i soggetti sottoposti ad eutanasia sia quelli deceduti naturalmente.
In medicina umana si è assistito ad un decremento della percentuale di mortalità grazie all’ampliamento delle conoscenze in merito alla fisiopatologia della DKA e all’applicazione di nuovi protocolli terapeutici. Oggi il tasso di letalità rappresenta il 3,4 – 4,6% ed è spesso associato alla presenza di processi morbosi sottostanti.
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