Peritonite infettiva felina (FIP)
- Disciplina: Malattie infettive
- Specie: Gatto
La Peritonite infettiva felina (Feline Infectious Peritonitis, FIP) è ritenuta la principale causa di mortalità di natura infettiva del gatto ed è una conseguenza inusuale dell’infezione sostenuta da un virus denominato Coronavirus Felino (FcoV); la maggior parte dei gatti che entrano in contatto con il virus rimane infatti asintomatica. Come raccomandato dalla ABCD (The European Advisory Board on Cat Diseases), convenzionalmente per FCoV si intende il virus, mentre la malattia viene denominata FIP.
CARATTERISTICHE DEL VIRUS
I coronavirus felini appartengono all’ordine Nidovirales e sono virus a RNA. Come molti RNA virus il FCoV è relativamente sensibile ai comuni disinfettanti ed al calore e la sua sopravvivenza nell’ambiente, in assenza di gatti portatori, non supera le 24 ore.
Sono riconosciuti due sierotipi di FCoV: il tipo 1, che rappresenta la stragrande maggioranza dei ceppi di campo presenti nei gatti con infezione naturale e il tipo 2, che è il risultato di eventi di ricombinazione tra FCoV di tipo 1 e il Coronavirus Canino (CCoV). I FCoV si comportano solitamente come normali abitatori dell’intestino: colonizzano l’epitelio intestinale, nel quale si replicano e tendono a raggiungere un equilibrio col sistema immunitario dell’ospite per cui la loro presenza decorre in forma praticamente asintomatica, nonostante possano anche superare l’intestino e riscontrarsi nel sangue. A conferma di ciò, indagini molecolari tese a rivelare la presenza di FCoV nelle feci hanno dimostrato che percentuali variabili tra il 75 e il 90% dei gatti viventi in colonie o allevamenti eliminano periodicamente o persistentemente il virus con le feci pur in assenza di sintomi evidenti.
Questa enorme diffusione nelle popolazioni feline fa comprendere da un lato come sia facile la diffusione oro-fecale negli ambienti con un’elevata concentrazione di gatti, sia per contagio diretto che, più frequentemente, per contagio indiretto attraverso materiali contaminati, e dall’altro come in tali ambienti tenda ad essere facile la comparsa di FIP.
Quest’ultima evenienza è infatti dovuta alla comparsa, nell’ambito della popolazione virale, di nuove varianti caratterizzate da maggiore patogenicità: i coronavirus, infatti, possiedono il più grande genoma a RNA conosciuto e sono soggetti ad errori della RNA polimerasi-RNA dipendente per cui ad ogni ciclo di replicazione compaiono sequenze leggermente diverse da quelle originarie, note come quasispecie virali. In quest’ottica è possibile che compaiano ceppi dotati di maggiore patogenicità, in grado di indurre la comparsa di FIP e caratterizzati dalla capacità di replicare all’interno di macrofagi, con i quali vengono trasportati in varie sedi dell’organismo. La precisa mutazione responsabile di questo cambiamento di patogenicità, però, non è ancora stata identificata.
A livello sistemico, la possibilità di sviluppare la malattia ed il tipo di malattia che si sviluppa dipendono dal tipo di risposta immunitaria dell’ospite: se il gatto ha una prevalente immunità umorale produrrà molti anticorpi che andranno a formare gli immunocomplessi responsabili della forma essudativa, mentre se prevale l’immunità cellulo-mediata si svilupperanno i granulomi tipici della forma non effusiva. In teoria, se si sviluppa sia una forte immunità cellulo-mediata che una forte immunità umorale il gatto è in grado di contrastare l’infezione mantenendo il virus latente o, in teoria eliminandolo dal suo organismo.
EPIDEMIOLOGIA
La malattia (FIP) è più comunemente osservata tra i gatti che vivono in ambienti multipli (gattili, allevamenti, ricoveri) ed in alcune razze (es., Bengala) o linee individuali all’interno di alcune razze (Persiani), che risultano più a rischio di soccombere alla FIP. Anche l’età è un importante fattore di rischio; infatti, sebbene i gatti possano sviluppare la malattia a qualsiasi età, il 50% ha meno di due anni e oltre il 70% dei casi ha meno di un anno di età, anche se un secondo picco virale può manifestarsi in gatti di età superiore ai 10 anni (sono segnalati in letteratura gatti fino a 17 anni di età). Inoltre, alcuni studi hanno riscontrato nei gatti di sesso maschile un rischio maggiore di sviluppare la malattia.
Fino al 40% della popolazione generale felina nel Regno Unito dimostra un'esposizione al FCoV, mentre in allevamenti ed in famiglie di più gatti questa cifra raggiunge spesso il 90%. Poiché i FCoV sono altamente contagiosi, una volta che coinvolgono un gruppo di gatti si diffondono rapidamente. Nella maggior parte dei casi, l'infezione da FCoV è asintomatica o provoca solo lievi segni clinici gastrointestinali (ad es. inappetenza, diarrea, vomito), sebbene a volte si osservino dei sintomi gastroenterici più gravi. Tuttavia, mentre l'esposizione al FCoV è comune, lo sviluppo clinico di FIP è relativamente raro. La sua incidenza è probabilmente <1% nella popolazione generale felina e quando la malattia si verifica di solito è sporadica. Nei grossi raggruppamenti di gatti, dove le condizioni sono più favorevoli per la replicazione e la diffusione rapida del virus, fino al 10% dei gatti possono morire per FIP. Dal momento che solo una piccola percentuale di gatti FCoV-infetti muoiono di FIP, la presenza di anticorpi anti-FCoV non significa che il gatto possa morire di peritonite infettiva.
I gatti che vivono in ambienti affollati, ad esempio allevamenti o colonie, sono più a rischio di contrarre la FIP per diverse ragioni:
- aumenta la probabilità di infezione con il coronavirus felino
- aumenta la dose di FCoV
- aumentano le condizioni di stress (i gatti sono in genere animali solitari)
- aumenta la probabilità di patologie concomitanti che abbassano le difese immunitarie.
Lo stress è una condizione nota che predispone allo sviluppo della FIP; il trattamento o il controllo dello stress è quindi un fattore importante nel controllo della malattia. Negli allevamenti, i gattini di solito si infettano in giovane età, a 5-6 settimane di vita, quando gli anticorpi materni (MDA) iniziano a diminuire.
Il motivo per cui alcuni gatti sviluppano la FIP non è ancora del tutto chiaro. Subito dopo la scoperta della FIP nel 1963, ci si rese conto che il numero dei gatti affetti da FCoV era superiore a quello dei gatti che sviluppavano la FIP, per cui si ipotizzò la presenza di due coronavirus distinti. L’ipotesi presupponeva l’esistenza di un coronavirus felino enterico avirulento (FECV) diverso da quello virulento responsabile della peritonite infettiva felina (FIPV). Oggi sappiamo che ovunque sia presente il coronavirus felino esiste la possibilità che si sviluppi la FIP.
Mentre gli studi sierologici hanno dimostrato che l'infezione da FCoV è comune, i test attualmente disponibili non sono in grado di distinguere tra infezioni patogene (che causano malattie) e non patogene (che non causano malattie). Nella prima forma si accumulano liquidi nell’addome e/o nel torace, mentre nella seconda non vi è liquido ma il gatto perde peso, si presenta anoressico, spesso con ipertermia, linfopenico e mostra segni clinici diversi in funzione degli organi colpiti che sono in genere occhi, fegato e cervello.
TRASMISSIONE
La trasmissione del FCOV è soprattutto indiretta, non per via transplacentare, e raramente diretta.
Il virus viene eliminato continuamente attraverso le feci (a volte in modo intermittente nelle ultime fasi dell’infezione); esse sono quindi la principale fonte di infezione, per cui il principale mezzo di trasmissione sono le lettiere.
Il virus può essere rilevato nella saliva nelle primissime fasi dell’infezione e solo per poche ore o al massimo 1-2 giorni, quindi la saliva presenta solo un ruolo marginale nella trasmissione del FCoV all’interno del gruppo, anche se vi sono contatti stretti.
La maggior parte dei gatti infetti da FCoV non sviluppa la FIP ma, una volta infettati, gli animali eliminano il virus nell’ambiente attraverso le feci per 2-3 giorni, sieroconvertono a 18-21 giorni, smettono di eliminare il virus da 2-3 a 7 mesi dopo e infine perdono i loro anticorpi. Il 13% dei gatti diventa portatore a vita, continuando a eliminare FCoV attraverso le feci, e mantiene un elevato titolo anticorpale.
A trasmettersi è comunque quasi sempre il coronavirus non mutato, e quindi la mutazione avviene poi nel singolo individuo. Vi sono segnalati in letteratura solo pochissimi casi di viremie patogene.
I gatti predisposti si infettano più facilmente in seguito al contatto con FCOV contenuti nelle feci di gatti asintomatici |
PATOGENESI
Non è ancora noto che cosa permette alla FIP (intesa come malattia) di svilupparsi in un particolare individuo. Un'ipotesi è che, mentre la maggior parte dei gatti sono infettati con un ceppo di virus che ha scarse possibilità di causare la malattia (virus a bassa patogenicità), lievi mutazioni de novo inerenti al virus che si replica all'interno di un particolare soggetto possono far diventare il virus più patogeno (e quindi con maggior probabilità di causare la malattia). In particolare, la mutazione (più precisamente una delezione) in virus FCoV normalmente innocui (a volte chiamati ‘coronavirus enterici felini’) cambierebbe il tropismo virale dagli enterociti ai macrofagi.
Una seconda teoria suggerisce che i ceppi patogeni possono essere comuni, ma portare alla malattia solo se sono presenti anche altri fattori, come una dose elevata di virus, una particolare suscettibilità genetica dell'ospite o l'esposizione a fattori che compromettono il sistema immunitario dell'ospite. Una terza teoria suggerisce che i gatti possono soccombere alla FIP perché il loro sistema immunitario viene sopraffatto dallo sviluppo di una quasispecie virale.
La combinazione di queste teorie è probabilmente l'ipotesi più realistica, per cui la possibilità di sviluppo della forma clinica è determinata dalle capacità del sistema immunitario, dalla natura del particolare ceppo del virus a cui è esposto il gatto e dalla velocità con cui il virus può replicarsi all'interno del gatto infettando i macrofagi.
Lo sviluppo di mutazioni potenzialmente patogene che causano la FIP è più probabile che si verifichi quando la replicazione virale procede ad un ritmo elevato. Questo spiega perché la FIP si sviluppa più comunemente nei gatti con una scarsa immunità, ad esempio nei gatti giovani (<2 anni) o molto vecchi, nei gatti con malattie immunosoppressive o nei soggetti stressati (ad esempio in caso di sovraffollamento).
Anche l’esatta patogenesi della FIP non è ancora del tutto chiarita; lo sviluppo della patologia è legato alla comparsa di una vasculite immuno-mediata che si verifica in circa il 5-10% dei gatti infetti dal coronavirus felino. È noto che i monociti infettati dal virus FCoV aderiscono alle cellule endoteliali, stravasano e si differenziano in macrofagi innescando una flebite e una perivasculite. I sintomi clinici sono la conseguenza del danno vascolare: l’esteso danno vascolare e lo stravaso plasmatico portano alla formazione di versamenti nelle cavità corporee; la restrizione dell’infezione in punti più localizzati porta allo sviluppo di lesioni granulomatose.
I primi sintomi di FIP compaiono circa 28 giorni dopo l’infezione, in genere dopo un evento stressante come un cambio di ambiente o la sterilizzazione. La forma effusiva di FIP è la forma acuta della malattia e può insorgere 4-6 settimane dopo l’infezione, ma anche molto più tardivamente se il sistema immunitario riesce inizialmente ad arginarla; la forma non effusiva, invece, rappresenta quella cronica che può insorgere da mesi ad anni dopo l’infezione. Nella forma effusiva, la maggior parte dei vasi sanguigni risulta danneggiata; nella forma non effusiva, la risposta immunitaria riesce in parte a contenere l’infezione ‘murando’ i vasi sanguigni infettati e portando alla formazione di piogranulomi che possono diventare piuttosto voluminosi (alla palpazione addominale e all’esame anatomo-patologico possono essere scambiati per tumori).
SEGNI CLINICI
La FIP è una delle malattie più difficili da diagnosticare nell’animale vivo, in quanto si può presentare con una grande varietà di sintomi clinici che riflettono il danno vascolare in atto o la distribuzione dei granulomi nei differenti organi. Febbre altalenante non responsiva agli antibiotici, perdita di peso, anoressia e depressione sono segni comuni delle prime fasi della FIP, indipendentemente dalla forma clinica in evoluzione. La distinzione tra forma effusiva (essudativa) e quella secca (piogranulomatosa, non effusiva) ha un valore clinico nel riconoscere la presenza della patologia, tuttavia bisogna tenere presente la possibilità non rara di forme intermedie che possono complicare la patologia.
La forma effusiva, quella più comune (più dell’80% dei casi di FIP presenta versamenti cavitari), è caratterizzata dalla presenza di versamenti in una o più cavità corporee: solitamente il liquido tende ad accumularsi in addome (Fig. 1), ma sono frequenti anche le forme con pleurite essudativa (Fig. 2) o bicavitarie, mentre sono più rari i casi esclusivamente pericardici. Il sintomo principale è rappresentato dalla presenza di un versamento e dalle alterazioni cliniche imputabili alla compressione esercitata dal versamento stesso sugli organi della cavità addominale (es: stipsi) e/o toracica (es: dispnea). La gravità di tali segni clinici dipende essenzialmente dalla quantità di liquido accumulatosi in cavità, variabile da pochi ml a 1-1,5 litri. La sintomatologia tende a comparire abbastanza rapidamente (pochi giorni) e il decorso tende ad essere iperacuto-acuto, con il sopraggiungere della morte nel giro di poche settimane. Sono riportati casi di evoluzione più protratta (qualche mese), o forme che da effusive tendo a trasformarsi in secche, con decorso che può raggiungere l’anno. Sono segnalati in letteratura anche casi di sierositi che coinvolgono la tunica vaginalis dei testicoli con essudazioni localizzate scrotali, e forme di FIP chilose.
La forma non-effusiva: quando solo una piccola quantità di vasi vengono coinvolti nel processo patologico la progressione della malattia diviene più cronica e l’organismo tenta di controllare le lesioni vascolari con la formazione, in un periodo di tempo più lungo, di piccoli o voluminosi piogranulomi su diversi organi (Fig. 3) e i sintomi clinici sono spesso direttamente attribuibili alla localizzazione delle lesioni: ad esempio, la formazione di piogranulomi nel fegato porta ad ittero. Il decorso della malattia non effusiva è noto ed è dimostrato che la patologia si sviluppi a causa di un alterato funzionamento del sistema immunitario cellulo-mediato (CMI). La diagnosi di questa seconda forma è molto più difficile e a tutt’oggi l’unica conferma diagnostica viene dall’esame istologico e/o immunoistologico degli organi coinvolti.
I gatti con forma non effusiva di FIP presentano tipicamente letargia, perdita di peso, anoressia, ipertermia moderata (39,0-39,5 °C, refrattaria alle terapie o ricorrente), pelo arruffato. Alcuni gatti possono presentare lesioni intraoculari, come uveite, opacizzazione dell’umore acqueo, arrossamento del vitreo, precipitati corneali, ifema e ispessimento dei vasi retinici. La FIP è la principale causa di alterazione infiammatoria del sistema nervoso nel gatto e più di un terzo dei gatti con forma non effusiva sviluppa alterazioni neurologiche, talvolta come unica manifestazione iniziale. Il segno clinico più comune è l’atassia, seguita da nistagmo, alterazioni vestibolari e convulsioni (Video 1). In corso di meningite compaiono incoordinazione, tremori, iperestesia, cambi di comportamento, convulsioni e deficit dei nervi cranici. La presenza di piogranulomi a livello di nervi periferici o midollo spinale può determinare zoppia, atassia progressiva e tetra-, emi- o paraparesi.
La maggior parte dei gatti affetti dalla forma secca di FIP presenterà un ingrossamento dei linfonodi mesenterici che alla palpazione addominale possono essere scambiati per masse neoplastiche. La renomegalia può verificarsi nella FIP secca con coinvolgimento renale. Occasionalmente viene segnalata la presenza di polmonite piogranulomatosa diffusa. Una caratteristica comune con l'evoluzione della malattia è la comparsa di debolezza, perdita di peso e stato simil-cachettico. La forma secca tende a comparire lentamente e ad evolvere altrettanto lentamente, con un decorso che può durare da 2 a 18-24 mesi. E’ relativamente frequente la comparsa, in fase terminale, di una forma umida, con decorso iperacuto.
Una forma particolare riscontrabile con una certa frequenza in gatti di media età (4-6 anni) è caratterizzata dalla comparsa di lesioni intramurali intestinali localizzate principalmente a livello del colon o della giunzione ileociecocolica (Fig. 4).
In letteratura sono riportati alcuni casi di questo tipo di FIP con un coinvolgimento diretto e primario intestinale. Le manifestazioni cliniche sono principalmente diarrea e vomito; spesso è presente una massa addominale palpabile, molto simile a quelle presenti in corso di neoplasie intestinali; in alcuni animali possono comparire altre manifestazioni quali anoressia, perdita di peso, ipertermia, dispnea ed infine effusione pleurica o peritoneale. Normalmente è coinvolto un solo tratto di intestino, con una lunghezza variabile tra pochi cm e 15 cm. All’esame istologico la parete dell’intestino risulta in genere ispessita, con presenza di lesioni granulomatose estese a tutto lo spessore dell’organo. All’esame microscopico si osservava un’infiammazione di tipo piogranulomatoso identica a quella delle forme non effusive di FIP, ma con lesioni localizzate solamente all’area intestinale interessata. La patogenesi di questo tipo specifico di alterazioni può essere legata ad una reazione parziale del sistema immunitario cellulo-mediato, che inizialmente restringe l’infezione virale ai macrofagi dell’intestino, ma che in seguito non è in grado di eliminare il virus, con sviluppo di un processo infiammatorio cronico, localizzato, attivo. È questo processo infiammatorio che induce solitamente lo sviluppo di alterazioni clinico-patologiche evidenziabili.
Ricordiamo ancora che la FIP nella forma piogranulomatosa secca può tuttavia svilupparsi e coinvolgere ogni struttura organica: sono pertanto descritte delle forme atipiche a carico della milza, testicoli, fegato, reni; recentemente sono state descritte anche delle manifestazioni cutanee, con lesioni nodulari multiple e fragilità cutanea, causate da una flebite dermica necrotizzante-piogranulomatosa.
I segni clinici della FIP possono variare nel tempo, quindi sono importanti esami clinici ripetuti |
DIAGNOSI
La diagnosi di FIP si basa sulla valutazione di segnalamento, anamnesi, segni clinici, alterazioni clinico-patologiche compatibili con la malattia e sui risultati dei test di diagnosi eziologica (Fig. 8).
La diagnosi della malattia può essere agevole nella variante essudatizia, in quanto l’esame del liquido prodotto può essere sufficientemente diagnostico: il versamento è un trasudato modificato-essudato non settico che ha la stessa consistenza del plasma e coagula se esposto all’aria (Fig. 5). Un’accurata analisi del versamento può portare a una diagnosi presuntiva di FIP: il liquido dovrebbe avere una concentrazione proteica totale superiore a 3,5 g/dl (ma spesso è molto maggiore), con un rapporto albumine:globuline inferiore a 0,4; rapporti maggiori di 0.8 hanno un valore predittivo negativo (VPN) del 100%. Tuttavia, in rari casi è possibile riscontrare versamenti con aspetto e caratteristiche di un versamento chiloso.
All'esame citologico si evidenzia la presenza non abbondante di cellule nucleate (meno di 2 x 109/l), costituite principalmente da granulociti neutrofili parzialmente degenerati e macrofagi, rari linfociti e un fondo proteinaceo granulare precipitato, che rende spesso difficili da interpretare le caratteristiche morfologiche delle cellule presenti (Fig. 6). La principale diagnosi differenziale va posta con la peritonite e la pleurite batteriche, nel cui versamento sono però presenti numerosi leucociti e batteri.
All'elettroforesi proteica del versamento si rileva l'alto contenuto proteico; la presenza di più del 32% di gamma-globuline (Fig. 7) ha un valore predittivo positivo per la FIP di quasi il 100%. In ambito ambulatoriale si può accelerare il processo diagnostico sul versamento effettuando il test di Rivalta.
La prova di Rivalta è un test semplice, molto utile nella diagnosi di FIP, con sensibilità e specificità elevate (valore predittivo positivo pari all’86%; valore predittivo negativo pari al 97%): questo esame è perciò in grado di escludere una FIP essudativa nel 97% dei casi. La prova risulta positiva in caso di concentrazioni elevate di proteine, fibrina e mediatori dell’infiammazione nel versamento. La prova di Rivalta può dare un risultato falso positivo in alcuni gatti affetti da linfoma o nella peritonite/pleurite batterica.
Come ulteriore ausilio diagnostico è possibile, con un test di immunofluorescenza, evidenziare il virus nei macrofagi del versamento. Questo esame, sulla base di alcuni studi, è risultato possedere un valore predittivo positivo (VPP) del 100%.
Anche la misurazione della concentrazione dell’alfa-1 glicoproteina acida (AGP) può essere di aiuto alla diagnosi, in quanto nella FIP risulta molto aumentata (>1500 μg/ml) mentre è normale in caso di miocardiopatia o neoplasia, che rappresentano le principali diagnosi differenziali. Questo esame è particolarmente utile quando eseguito su versamenti di gatti in fase acuta, in cui spesso non vi sono ancore tutte le caratteristiche tipiche del fluido da FIP. Bisogna sempre prestare attenzione alle reali caratteristiche del versamento, in quanto la concentrazione di AGP aumenta anche dopo un trauma/intervento chirurgico o in caso di infezione batterica facilmente evidenziabile però all’esame citologico.
Per le forme secche non esiste di oggi un test che sia in grado di fornire una diagnosi accurata. La diagnosi ante-mortem in molti casi può essere estremamente difficile se non addirittura impossibile. Infatti, essendo l’unico esame utilizzabile per una diagnosi definitiva l’istopatologia, in alcuni casi l’invasività delle procedure bioptiche può rendere troppo pericoloso acquisire materiale organico nell’animale in vita. Una possibile alternativa è la citologia eseguita su campioni prelevati tramite ago-infissione o ago-aspirazione. Queste procedure sono considerate meno rischiose rispetto ai campionamenti bioptici. In corso di FIP si osserva la presenza di flogosi piogranulomatosa sterile nei diversi organi che presentano lesioni.
La storia clinica del soggetto, l’ambiente di vita, i segni clinici (la febbre persistente sopra ogni altro), le alterazioni di laboratorio, il titolo anticorpale e la PCR sono tutti fattori che possono aiutare nella diagnosi, ma solo nel formulare una diagnosi presuntiva. Per le forme secche non esiste di oggi un test che sia in grado di fornire una diagnosi accurata. La diagnosi ante-mortem in molti casi può essere estremamente difficile se non addirittura impossibile. Infatti, essendo l’unico esame utilizzabile per una diagnosi definitiva l’istopatologia, in alcuni casi l’invasività delle procedure bioptiche può rendere troppo pericoloso acquisire materiale organico nell’animale in vita.
USO DEGLI ESAMI DI LABORATORIO
Ad eccezione dell’esame istopatologico, associato ad immunocolorazione dell'antigene FCOV, non esistono test diagnostici in grado di portare ad una diagnosi conclusiva di FIP. Il sospetto clinico può però venire fortemente supportato dall’analisi simultanea di più esami di laboratorio, come meglio specificato di seguito.
NON vi sono ad oggi TEST FIP: cioè non vi sono ad oggi test sierologici che permettano la DIAGNOSI della FIP in un gatto in vita! |
Ematologia: le alterazioni ematologiche in corso di FIP sono aspecifiche ma alcune di queste, se presenti, possono supportare la diagnosi. La linfopenia è particolarmente comune (55-77% dei casi, sebbene uno studio recente abbia rilevato che solo il 49,5% dei casi di FIP mostra linfopenia). Inoltre, sono riportate neutrofilia (39-57%), left shift e anemia non rigenerativa da lieve a moderata (37–54%). Recentemente è stata segnalata un'associazione tra la diagnosi di FIP e la microcitosi (con o senza anemia). L'anemia emolitica immunomediata grave (IMHA), con anemia rigenerativa associata, può verificarsi in corso di FIP, ma non è un riscontro comune.
Biochimica sierica: i cambiamenti nella biochimica sierica nei casi di FIP sono vari e spesso non specifici, ma ci sono una serie di importanti anomalie che dovrebbero essere ricercate per supportare una diagnosi di FIP.
Iperglobulinemia: l'iperglobulinemia è descritta nell'89% dei casi, spesso con ipoalbuminemia o albumina sierica al limite inferiore dell’intervallo di riferimento (osservata nel 64,5% dei casi). La presenza di ipoalbuminemia insieme all'iperglobulinemia determina, in alcuni casi, la mancata evidenza di iperproteinemia; alcuni studi hanno documentato la presenza di iperproteinemia fino al 60% dei casi, specialmente in corso di FIP secca, ma studi recenti hanno riportato delle prevalenze inferiori (del 17,5%).
Anche il rapporto albumina: globuline (A:G) spesso è basso e questo parametro può essere utile per valutare la probabilità della FIP nei singoli casi. È stato suggerito che un rapporto A:G <0,4 rende la FIP una diagnosi molto probabile, mentre un rapporto A:G> 0,8 la rende molto improbabile. Inoltre, la frequenza e la gravità dell’ipoalbuminemia, dell’iperglobulinemia, del basso rapporto A: G e delle anomalie all'elettroforesi delle proteine sieriche (SPE) riportate nei casi FIP sembrano essere diminuite negli ultimi anni. Per anni si pensava che il tracciato elettroforetico con ipoalbuminemia, lieve aumento delle alfa (α) 2-globuline e un aumento importante delle gamma(γ) globuline fosse caratteristico della FIP. Un recente studio ha messo in evidenzia che rispetto al passato i gatti con FIP presentano meno frequentemente ipergammaglobulinemia e sempre più spesso un aumento importante delle α2-globuline. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che attualmente la FIP viene diagnosticata in una fase più precoce rispetto al passato. Sia gammopatie policlonali che monoclonali sono state descritte in corso di FIP, sebbene gli aumenti policlonali siano molto più comuni.
Iperbilirubinemia: l'iperbilirubinemia si verifica nel 21-63% dei casi di FIP ed è particolarmente osservata nella FIP umida; spesso senza marcati aumenti dell’alanina aminotransferasi (ALT), fosfatasi alcalina (ALP) o γ glutamiltransferasi (sebbene questi enzimi possano risultare elevati nei casi FIP). L'iperbilirubinemia dovuta a IMHA è raramente segnalata, e spesso i gatti non sono gravemente anemici. Pertanto, la presenza di iperbilirubinemia in assenza di elevate attività degli enzimi epatici o grave anemia dovrebbe aumentare l'indice di sospetto per FIP (si noti che anche la sepsi e la pancreatite possono causare iperbilirubinemia in assenza di elevate attività degli enzimi epatici).
Proteine di fase acuta: le proteine di fase acuta (APP) sono prodotte nel fegato in risposta alle citochine rilasciate da macrofagi e monociti (in particolare le interleuchine 1 e 6 e il fattore di necrosi tumorale α) in molte malattie infiammatorie e non infiammatorie. La glicoproteina acida α1 (AGP) è un'APP e la sua misurazione può essere utile nella diagnosi di FIP. Sebbene gli aumenti di AGP (> 0,48 mg/ml) di per sé non siano specifici per la FIP, nei casi di FIP si osservano spesso livelli di AGP marcatamente elevati (> 1,5 mg/ml). Pertanto, l'entità dell'aumento può essere utile per aiutare la diagnosi di FIP.
RICERCA DEL VIRUS:
Tra gli esami disponibili per evidenziare la presenza del virus in un soggetto sospetto di infezione o malattia, molti evidenziano gli anticorpi, mentre la Reazione Polimerasica a catena (PCR) permette di evidenziare l’RNA del virus.
Test per l’evidenziazione degli anticorpi
Disponiamo sostanzialmente di due tipi di esami sierologici (immunofluorescenza indiretta ed ELISA) che identificano gli anticorpi diretti contro i FCoV. I risultati dei test sierologici hanno un ruolo significativo nella diagnosi di FIP solo se correlati ai sintomi clinici, poiché rilevano anticorpi rivolti verso il coronavirus senza differenziare se si tratti di FCoV o FIPV (quindi mutato). La sieroconversione nei gatti esposti al coronavirus avviene in genere dopo 18-21 giorni dall’infezione.
La tecnica gold standard per valutare il titolo anticorpale è considerata l’immunofluorescenza indiretta (IFA). I vantaggi di questo test sono: 1. possedere un controllo negativo che evita di evidenziare una reazione non specifica; 2. i risultati sono espressi come titolo anticorpale. Questo titolo può essere correlato alla patologia in atto ed avere un valore prognostico.
Se la sierologia per FCoV può essere utile se si evidenziano elevati titoli anticorpali, dobbiamo sempre considerare il fatto che occasionalmente gatti con forma effusiva di FIP presentano bassi o nulli titoli anticorpali in quanto la maggior parte degli anticorpi rimane attaccata alla notevole quantità di virus presente e non è quindi rilevabile dal test.
Un titolo IFAT superiore a 640 può essere indicativo in caso di forma secca, ma SOLO in associazione a manifestazioni cliniche fortemente indicative di FIP (febbre refrattaria ai trattamenti, iperproteinemia, presenza di granulomi su diversi organi addominali o linfoadenopatia mesenterica, lesioni oculari o neurologiche, alterato rapporto A/G). Un titolo inferiore a 160 solitamente permette di escludere una forma secca di FIP.
Gatti sani possono avere un alto titolo anticorpale ma NON avere la FIP! |
TEST RT-PCR (Trascriptasi inversa-reazione polimerasica a catena)
Questa tecnica permette di amplificare una parte selezionata dell’acido nucleico virale e di identificare la quantità di virus all’interno di campioni biologici. La metodica è estremamente sensibile e specifica, permettendo di identificare quantità molto piccole di nucleoproteine virali, ma proprio per tale motivo devono essere prese molte precauzioni al fine di evitare inquinamenti che possono generare falsi positivi o negativi. La tecnica di RT-PCR può identificare il coronavirus in gatti con FIP che risultano sieronegativi, ma può fornire risultati falsamente positivi se effettuata su campione di sangue e su tessuto poiché il FCoV si può riscontrare anche in circolo e in tessuti di gatti sani.
La presenza del virus nel sangue di un gatto affetto sia dalla forma effusiva sia dalla non effusiva non è quindi conclusiva della diagnosi di FIP. Inoltre, è stato evidenziato come gatti con forme fulminanti di FIP possono risultare PCR negativi. Ciò può verificarsi perché al momento dell’analisi le cellule infette dal virus possono essere ancora localizzate nei tessuti. Per lo stesso motivo un test su un campione di sangue che risulti PCR negativo non indica necessariamente che il gatto non ospiti il virus nei suoi tessuti.
La RT-PCR può essere utilizzata per rilevare l'RNA dell'FCoV nei campioni di tessuto, versamento, sangue, liquido cerebrospinale (CSF) o umor acqueo nei casi di sospetta FIP. I campioni di tessuto non devono essere fissati in formalina, poiché la formalina degrada l'RNA target e può ridurre la sensibilità della PCR. La presenza (in particolare di livelli elevati) di RNA di FCoV in campioni di sangue, versamento, tessuti, CSF e/o umor acqueo può essere di grande supporto per la diagnosi di FIP. La RT-PCR può anche essere eseguita su campioni fecali, ma questa viene principalmente utilizzata per identificare i gatti che stanno diffondendo il virus, per la gestione dell'infezione in una famiglia multi-gatto o allevamento.
RT-PCR su campioni di tessuto: I campioni di tessuto di gatti con FIP hanno una probabilità significativamente maggiore di essere positivi. Infatti questi ultimi presentano cariche di FCoV significativamente più elevate rispetto ai campioni di tessuto di gatti non FIP, sebbene questi possano essere ancora positivi alla RT -PCR per FCoV. Non sorprende che, nei gatti FIP, le cariche di FCoV tendano a correlarsi con i risultati istopatologici indicativi di FIP. Pertanto, la presenza di alti livelli di RNA di FCoV nei campioni di tessuto sembra essere altamente favorevole alla diagnosi di FIP. La selezione dei tessuti appropriati da campionare può essere guidata dai segni clinici, risultati della diagnostica per immagini e reperti citologici (ad es. infiammazione piogranulomatosa), ma la raccolta non invasiva di tale tessuto può essere difficile. Spesso la laparotomia, o anche la laparoscopia, possono essere considerate troppo invasive da eseguire in un gatto malato in cui l'indice di sospetto di FIP è molto alto.
RT-PCR da versamento: I campioni di versamento sono generalmente ottenibili utilizzando tecniche relativamente facili, minimamente invasive, specialmente se è presente una moderata quantità di versamento addominale o pleurico. I campioni di versamento in casi di FIP spesso contengono RNA di FCoV. Recenti studi hanno evidenziato l'RNA di FCoV nella maggior parte (72–89%) dei campioni di versamento in gatti con FIP, ma non in campioni di versamento di gatti non FIP. La presenza di livelli (elevati) di RNA di FCoV in un campione di versamento che, inoltre, presenta anche caratteristiche citologiche e biochimiche compatibili con la FIP, sembra supportare fortemente le diagnosi di FIP.
RT-PCR da sangue: Quando la RT-PCR per FCoV è stata eseguita su campioni di plasma o siero di gatti FIP e non FIP, nessuno dei casi non FIP e pochissimi (9-15,4%) dei casi FIP hanno dato risultati positivi per RNA di FCoV. Pertanto, l'uso della RT-PCR per FCoV su campioni di sangue, plasma o siero non è utile nella diagnosi di FIP a causa della bassa sensibilità. Le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) possono essere un bersaglio migliore per la PCR rispetto al siero, ma la sensibilità resta ancora molto scarsa (28,6%).
RT-PCR da CFS: Uno studio recente ha descritto l'uso della RT-PCR per FCoV su campioni di CSF ed ha riscontrato una specificità del 100% per la FIP, ma una sensibilità solo del 41,2%. Tuttavia, non tutti i gatti inclusi in questo studio presentavano segni neurologici, poiché il CSF veniva raccolto all'esame post-mortem indipendentemente dalla presentazione clinica. Pertanto, la popolazione testata potrebbe non riflettere quei gatti nei quali sarebbe stato campionato il CSF per fini diagnostici. Nello stesso studio la sensibilità della RT-PCR risultava aumentata all'85,7% quando sono venivano considerati solo i gatti con segni neurologici e oftalmologici. Pertanto, la RT-PCR per FCoV su CSF sembra essere un utile test diagnostico aggiuntivo nei gatti con segni neurologici, poiché un risultato positivo supporta la diagnosi di FIP.
RT-PCR da umor acqueo: Attualmente, non sono stati condotti studi per valutare la RT-PCR su campioni di umor acqueo, sebbene siano stati riportati risultati positivi in gatti con FIP.
Monitorare l’eliminazione del virus con l’uso della PCR
A. L’uso della RT-PCR per identificare l’eliminazione del virus con le feci può essere utile nel discriminare tra: 1) un soggetto positivo per gli anticorpi anti-FcoV che dopo aver contratto l’infezione ha eliminato il virus e 2. un soggetto che elimina il virus continuamente e che diventa, quindi, un portatore senza mai manifestare segni clinici di malattia.
Per valutare se un soggetto è realmente un “carrier” è necessario rivolgersi a laboratori specializzati che possano identificare la presenza cospicua di virus nelle feci. La valutazione si fa su quattro campioni fecali raccolti 1 volta alla settimana per 4 settimane consecutive. Il paziente è un portatore sano ed elimina il virus se almeno tre dei test risultano positivi. Questa procedura consente di monitorare la continua emissione del virus e di evitare la possibilità di positività da inquinamento esterno.
B. Il monitoraggio dell’emissione virale salivare non può essere utilizzato allo stesso modo perché l’emissione del virus con la saliva si arresta molto precocemente rispetto a quella fecale.
Esame istopatologico
Campioni di tessuti interessati dal processo patologico (come fegato, reni o linfonodi mesenterici) possono essere raccolti ante-mortem mediante biopsia percutanea ecoguidata, laparoscopia o laparotomia, sebbene la natura invasiva del campionamento possa precluderlo nei gatti malati. I campioni vengono spesso raccolti all'esame post-mortem e vengono valutati per i cambiamenti istopatologici caratteristici della FIP che, quando presenti, sono generalmente considerati accurati per la diagnosi definitiva. L'immunocolorazione dell'antigene FCoV è di solito raccomandata per confermare la diagnosi.
Immunocolorazione dell’antigene FCoV
L'immunocolorazione viene eseguita su tessuti fissati in formalina tramite immuno-istochimica (IHC), oppure su campioni citologici (tipicamente da versamento) mediante immuno-citochimica (ICC) o immunofluorescenza (IF). Queste tecniche sfruttano il legame degli anticorpi con gli antigeni FCoV associati alle cellule, che vengono successivamente resi visibili da reazioni enzimatiche che producono un cambiamento di colore (ICC) o mediante fluorescenza (IF).
La positività all'immunocolorazione dell'antigene FCoV nei tessuti conferma la diagnosi di FIP (cioè, è molto specifica); un risultato negativo, tuttavia, non esclude la FIP poiché gli antigeni FCoV possono essere distribuiti in modo variabile all'interno delle lesioni e quindi non vengono rilevati in tutte le sezioni istopatologiche preparate. Tuttavia, questo problema può essere superato ottenendo campioni multipli e/o campioni di grandi dimensioni.
L'immunocolorazione nei campioni di versamento ha mostrato una sensibilità variabile (che varia dal 57 al 100%). Poiché questa tecnica si basa sulla colorazione dell'antigene FCoV all'interno dei macrofagi nel versamento e questo è spesso povero di cellule e/o l'antigene FCoV è mascherato dagli anticorpi FCoV presenti nel versamento, si possono ottenere risultati falsi negativi. La colorazione ICC dell'antigene FCoV si è rivelata efficace nel rilevare FCoV nel liquido cerebrospinale di un gatto con FIP e sintomi neurologici. L'uso dell'immunocolorazione dell'antigene FCoV è stato recentemente descritto in campioni di umor acqueo raccolti durante l'esame post mortem da gatti con e senza FIP. È possibile utilizzare gli aspirati con ago sottile come campioni per l’immunocolorazione dell'antigene FCoV, ma la sensibilità può essere scarsa a causa delle difficoltà nel campionare le lesioni.
E' fondamentale essere consapevoli del valore e dei limiti dei test attualmente disponibili nel raggiungimento di una diagnosi definitiva di FIP. In particolare: - La dimostrazione dell'antigene FCoV mediante immunocolorazione in versamenti o biopsie, in associazione con le caratteristiche citologiche o istopatologiche tipiche della FIP, fornisce una diagnosi definitiva di FIP. - Il rilevamento dell'RNA di FCoV mediante RT-PCR, specialmente se presente ad alti livelli, in campioni diagnostici come versamenti, CSF e biopsie, è di grande supporto per una diagnosi di FIP. |
TRATTAMENTO
Premettendo che la prognosi per la FIP è pressoché invariabilmente infausta, ad oggi è possibile ottenere dei risultati in termini di sopravvivenza e miglioramento delle condizioni cliniche.
Fino all'introduzione dell’interferone omega ricombinante di origine felina (rFeIFN-ω) la FIP era considerata una malattia incurabile e alla diagnosi di FIP seguiva in genere l’eutanasia del gatto.
Sebbene la forma effusiva e quella non effusiva di FIP non siano malattie differenti ma piuttosto riflettano un grado diverso dello stesso processo, vengono proposti due protocolli diversi di trattamento per la FIP (Tabella 1). In base all’esperienza dell’autore nei casi di FIP essudativa i risultati sono quasi sempre scoraggianti.
È quindi sempre bene spiegare al proprietario del gatto che lo scopo della terapia non è la guarigione del paziente, bensì il miglioramento delle condizioni cliniche. Rimane poi la questione se sia effettivamente il trattamento a prolungare la vita dell’animale in cura; infatti vi sono segnalazioni di gatti con forme secche che, dopo un iniziale peggioramento, tendono a migliorare anche per alcuni mesi prima di presentare una forma fatale. Sebbene i tempi di sopravvivenza dei gatti affetti da FIP siano brevi, alcuni gatti possono vivere più a lungo, ma sfortunatamente non conosciamo ad oggi i fattori prognostici utili a prevedere la sopravvivenza dei singoli gatti. Una possibile spiegazione sulla prolungata sopravvivenza di alcuni gatti può essere la differenza genetica tra i gatti che influenza la risposta infiammatoria mediata dalle citochine o la suscettibilità dei macrofagi. Queste differenze genetiche potrebbero essere il risultato delle predisposizioni di specie e di razza che sono state riportate nella FIP. Un’altra ragione potrebbe essere che alcuni gatti si infettano con un ceppo meno virulento di FCoV; è stato infatti dimostrato che i ceppi di FCoV hanno una diversa potenzialità di provocare la FIP.
Prima di trattare il gatto, è assolutamente indispensabile fare ogni sforzo per arrivare a una corretta diagnosi. Dal momento che la FIP è una malattia immunomediata, il trattamento deve essere mirato a sopprimere la risposta immunitaria inappropriata, in genere mediante l’utilizzo di corticosteroidi ad alto dosaggio, che potrebbero avere un effetto disastroso nel caso di una condizione simile ad eziologia infettiva (ad esempio peritonite o pleurite settiche).
Negli ultimi anni la ricerca in ambito veterinario è sempre più orientata verso l’utilizzo di farmaci antivirali in grado di inibire la replicazione del FCoV. In particolare, due farmaci antivirali hanno mostrato dei risultati promettenti. In studi di Pedersen e colleghi è stata testata l’efficacia e la sicurezza di un inibitore della proteasi 3C-like (GC376) e di un analogo nucleosidico (GS-441524) nel trattamento di gatti con FIP. Entrambi i farmaci hanno avuto dei buoni risultati preliminari in termini di efficacia e hanno mostrato scarsi effetti avversi, in particolare il GS-441524. Tuttavia, sono ancora in corso ulteriori studi per confermare la sicurezza e l'efficacia di suddetti farmaci e, attualmente, non sono disponibili in commercio in Italia.
PREVENZIONE
La principale via di trasmissionedi FCoV è quella indiretta: i gatti sani vengono in contatto con le feci dei gatti infetti, in genere attraverso la lettiera ma anche attraverso la trasmissione microscopica mediante accessoricome ad esempio le palette per la lettiera. Pertanto delle buone pratiche igieniche rappresentano la precauzione principale per il controllo dell’infezione da FCoV. Se si possiedono più gatti, bisogna fare in modo di avere lettiere a sufficienza, preferibilmente una per gatto. Meglio utilizzare le lettiere coperte o magari autopulenti, per evitare che le microscopiche particelle fecali infette si possano propagare. Si consiglia anche di utilizzare una lettiera ad elevata potenza agglomerante, posizionando anche degli appositi tappetini all’uscita della cassetta che riducano lo spargimento della sabbietta e di pulirle e disinfettarle con candeggina almeno una volta alla settimana.
In clinica o ambulatorio è bene considerare che qualsiasi gatto è una potenziale fonte di infezione da FCoV e quindi anche in questo caso devono essere prese tutte le misure igieniche di routine.
Se si ammala un gatto in ambienti dove vivono molti soggetti è probabile che tutti i gatti siano stati già esposti al FCoV del paziente, quindi non c'è nessun vantaggio ad isolarlo. Nelle famiglie in cui un singolo paziente FIP è stato sottoposto a eutanasia, si consiglia di
aspettare 2 mesi prima di prendere un nuovo gatto, per consentire ai FCoV ambientali di morire.
Gli anticorpi di derivazione materna proteggono i gattini fino a 5-6 settimane di età
I gattini partoriti da gatte con titolo anticorpale positivo per FCoV sono protetti dagli anticorpi di derivazione materna fino a 5-6 settimane di età. Le gatte gravide sieropositive dovrebbero essere isolate 1-3 settimane prima del parto (3 settimane se hanno un’infezione concomitante da Herpesvirus). A 5-6 settimane di età, i gattini dovrebbero essere spostati in una stanza pulita (senza gatti da più di una settimana, pulita bene con l’aspirapolvere e con una lettiera pulita e disinfettata). I gattini dovrebbero essere poi testati a partire dalle 10 settimane di età e messi a contatto con gli altri gatti il prima possibile se anch'essi sieronegativi. I gattini con titolo anticorpale positivo dovrebbero essere ritestati ogni 4-6 settimane fino a quando diventano sieronegativi, e quindi messi a contatto con gli altri gatti sieronegativi.
Vaccinazione dei gatti prima della prima esposizione al coronavirus felino
Esiste un solo vaccino contro la FIP disponibile in commercio, ma non in Italia, e sulla sua reale efficacia vi sono molti dubbi.
Bibliografia e letture consigliate
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