[{{{type}}}] {{{reason}}}
{{/data.error.root_cause}}{{{_source.displayDate}}}
{{/_source.showDate}}{{{_source.description}}}
{{#_source.additionalInfo}}{{#_source.additionalFields}} {{#title}} {{{label}}}: {{{title}}} {{/title}} {{/_source.additionalFields}}
{{/_source.additionalInfo}}I potenziali pericoli connessi con gli ambienti acquatici, naturali o artificiali, rappresentano una tematica tanto ampia quanto poco nota o sottostimata in termini di rischio all’interno del panorama nazionale della medicina veterinaria degli animali da compagnia. La mancata attenzione dei proprietari, improvvise fughe, eventi non prevedibili in corso di passeggiate o gite, possono condurre a conseguenze potenzialmente tragiche non solo per gli animali. Il medico veterinario riveste dunque sia un ruolo in ambito clinico sia nella formazione a fine preventivo su un tematica ancora poco indagata.
Cani e acquaticità
Non bisogna mai dare per scontata l’acquaticità di un cane basandosi solo sulle attitudini di razza o su peculiarità/affinità del singolo esemplare. Sono infatti numerosi i fattori che possono influire su tale aspetto. Il concetto di acquaticità è tematica originale anche in campo umano; uno studio del 2016 la si definisce come "la capacità di un mammifero terrestre di funzionare/agire e abituarsi all’ambiente acquatico. Il grado di acquaticità dipende da caratteristiche mentali e fisiche e può essere migliorato attraverso una frequente esposizione all’elemento acqua”. La tecnica di nuoto utilizzata dai cani è stata oggetto di un’originale indagine del 2020 condotta su otto esemplari appartenenti a sei differenti razze. Mediante l’utilizzo di videocamere subacquee è stata registrata la sequenza dei movimenti natatori; ne è emerso che il movimento eseguito per il nuoto rappresenta una modificazione dell’andatura utilizzata sulla terraferma e si compone di una frequenza stereotipata nei cani. La fase di spinta rappresenta il 34% dell’intero movimento dell’arto (nel complesso si osservano una fase di spinta e una di recupero). Le differenze nella cinetica natatoria dei cani si apprezzano principalmente in relazione alla massa corporea. Esemplari con differenti masse corporee mostrano infatti diversità nella frequenza del colpo in acqua, nello spostamento verticale della zampa durante il ciclo di nuoto e nel tempo d’esecuzione delle differenti fasi. A fronte dell’originalità della tematica e delle ancora poche informazioni a riguardo, gli stessi autori consigliano per il futuro di indagare su un maggior numero di razze, parametri morfometrici e aumentare i confronti con le altre specie terrestri. Nella pratica giornaliera questi dati possono tradursi nel far comprendere al proprietario il corretto approccio del cane con il mondo acquatico. Sarà sempre opportuno far avvicinare progressivamente il proprio cane alle attività acquatiche; a tal proposito sono sempre più diffusi sul territorio nazionale corsi volti a migliorare l’acquaticità degli esemplari. Durante un’indagine condotta su 412 cani appartenenti a 21 razze è emerso come alcuni esemplari mostrino una maggior affinità con l’attività natatoria mentre altri necessitano di un trainer. A dimostrazione dell’importanza di un avvicinamento progressivo dei cani all’ambiente acquatico, gli autori hanno evidenziato come il 29,13% degli esemplari che entrano in acqua la prima abbia mostrato un’eccessiva eccitazione/stimolazione e/o paura. La percentuale è diminuita progressivamente fino a giungere al 12,41% durante la quinta sessione di nuoto. Ciò evidenzia l’importanza del far sviluppare l’acquaticità del pet non solo in quegli esemplari destinati a un’attività acquatica costante (cani da salvataggio o sport acquatici) ma in tutti quelli che possono venire a contatto con gli ambienti acquatici.
Sindrome da annegamento: informazioni utili anche dalla medicina forense veterinaria
Le conseguenze della penetrazione dell’acqua all’interno delle vie respiratorie possono variare in relazione a numerosi fattori. La bibliografia sul tema non è vasta ma di certo fornisce spunti e linee guide da applicare anche in ambito clinico. Un’indagine ha raccolto 28 casi di cani e gatti tra il 1996 e il 2005 finiti in acqua all’interno di corpi d’acqua dolce (14 artificiali, 13 naturali e uno ignoto). Alterazioni respiratorie sono emerse in 21 esemplari, disfunzioni neurologiche in 12, compromissione epatocellulare in sei e alterazioni cardiovascolari in altrettanti esemplari. Tre cani hanno manifestato alterazioni ematologiche e due una disfunzione renale acuta. Diciotto esemplari sono sopravvissuti dopo essere stati sottoposti a terapia ospedaliera mentre tutti i gatti sono deceduti. Del totale di dieci esemplari deceduti, nove sono legati all’insufficienza respiratoria che ne ha causato la morte o ha portato alla decisione di eseguire l’eutanasia. Le peculiarità fisiologiche e patologiche dei singoli esemplari e dei contesti acquatici coinvolti sono estremamente differenti e si invita perciò alla lettura del testo in estenso presente in bibliografia a fondo articolo. I trattamenti riferiti sono stati: somministrazione di ossigeno (21 esemplari tra 0,25 a 168 ore), di antibiotici (19 animali), la ventilazione assistita (4), somministrazione di una o più dosi di corticosteroidi (3) e di una o più dosi di aminofillina (2). La bibliografia si presenta frammentata e include anche studi sperimentali. I polmoni sono di certo gli organi primariamente colpiti negli animali colpiti da annegamento e l’insufficienza respiratoria rappresenta la prima causa di mortalità. Nello studio si è ipotizzato che il danno acuto polmonare o la polmonite possano aver riguardato 15 dei 28 esemplari. L’11% degli animali colpiti sono stati sottoposti a terapia con corticosteroidi. Gli autori ricordano che la somministrazione di corticosteroidi, tradizionalmente utilizzati per proteggere le vie aeree dell’infiammazione, non apporta effetti benefici dopo l’aspirazione d’acqua dolce come evidenziato da un lavoro condotto su cani. La somministrazione di corticosteroidi non è dunque consigliata come trattamento di routine nei pazienti veterinari rimasti immersi. Ulteriori informazioni che possono tradursi anche in azioni da condure su pazienti in vita, derivano dalla medicina forense. Uno studio del 2016 di medicina veterinaria forense, consultabile in extenso mediante link a fondo articolo , ha innanzitutto suddiviso gli episodi di annegamento da quelli cosiddetti “near-drowning” nei quali gli esemplari colpiti sopravvivono, anche solo per un breve periodo. Entrambi sono stati a loro volta suddivisi in base al riscontro o meno di acqua nelle vie respiratorie. Il meccanismo al centro dell’annegamento consiste in una rapida e persistente ipossia conseguente alla penetrazione di liquidi all’interno delle vie aeree. L’ossigenazione arteriosa decresce immediatamente ed è accompagnata da acidosi e ipercapnia. Il tempo di sopravvivenza è inversamente proporzionale al volume d’acqua dolce o salata inspirata dal cane. La penetrazione di acqua comporta l’inattivazione del surfattante con conseguente atelettasia, mismatch ventilazione/perfusione e ipossia. Si ricorda inoltre che anche piccole quantità di liquido possono causare laringospasmo e broncospasmo. La prolungata ipossiemia conduce all’insufficienza multiorgano, aritmie cardiache e lesioni del sistema nervoso centrale fino alla morte. Massima attenzione anche a un altro parametro dell’acqua, ossia la temperatura. La sindrome da quasi annegamento, come viene definita nei paesi anglosassoni, è una condizione nella quale, pur non osservandosi un annegamento, vi è stata un’inalazione di acqua che si è accumulata nei polmoni. Può essere accompagnata da una polmonite ab ingestis che diviene anche un fattore predisponente per seguenti polmoniti batteriche. L’acqua può persistere, anche in minima parte, a livello polmonare favorendo la comparsa dell’infezione. Portare il pet colpito nel più breve tempo possibile presso una struttura veterinaria è fondamentale per tutti gli esemplari. Tale azione vale anche per quelli che, seppur in difficoltà a seguito dell’aspirazione di acqua, hanno raggiunto la riva o sono stati recuperati e non mostrano un’apparente alterazione dello stato di salute. I casi più gravi possono necessitare della tempestiva esecuzione di manovre CPR direttamente in situ, aspetto che complica ulteriormente la situazione in quanto devono essere eseguite correttamente da personale formato.
Prevenzione applicata alle piscine
Gli ecosistemi naturali e gli invasi artificiali, seppur con specifiche differenze, possono rappresentare pericoli per gli animali domestici e selvatici. Si pensi alle singole peculiarità che caratterizzano strutture come le piscine (interrate o montabili), i laghetti pubblici (Fig. 1), quelli ornamentali, gli invasi scavati per altri utilizzi (pozzi, cave allagate, canali e bacini idrici) e gli ambienti naturali d’acqua dolce lotici, lentici e quelli marini (Fig. 2).
Figura 1
Figura 2
La prevenzione passa almeno attraverso tre step: conoscere le strutture/ambienti, messa in sicurezza di quelle artificiali quando possibile e, infine, formazione e controllo del pet. Nel mostrare ai proprietari i corretti comportamenti preventivi da mettere in atto è opportuno differenziare quelli applicabili direttamente alle proprie strutture (es. piscine, laghetti) da quelli che coinvolgono i pet. Si pensi alle piscine all’aperto, pur essendo consigliabile una sorveglianza quando il pet è in acqua, gli incidenti possono avvenire anche a seguito di una fuga o durante la stagione di non utilizzo di queste. Esiste un’ampia gamma di strategie e strumentazioni a supporto della protezione passiva delle piscine che iniziano fin dalla fase di progettazione (bordi bassi, scale ampie sommerse e bordi antiscivolo). Un primo sistema di protezione anti intrusione prevede il montaggio di recinzioni removibili che isolano la piscina stessa. Vi è poi un’ampia serie di sistemi e impianti facilmente istallabili che includono rilevatori e allarmi immersi atti a rivelare un’eventuale caduta in acqua. A questi possono essere affiancati sistemi di sicurezza perimetrali a infrarossi. I sistemi sonori includono sirene e moduli di comunicazione connessi ai device in modo che proprietari e custodi possano essere avvisati in tempo reale e intervenire. In aggiunta alla perimetrazione e all’utilizzo di allarmi si ricordi che non è sempre facile, specie per un pet caduto in acqua, riuscire a scavalcare i bordi. A tal proposito si consiglia sempre l’istallazione di specifiche rampe di risalita/anti annegamento/di salvataggio per animali; queste consentono agli animali domestici o selvatici caduti in acqua di poter avere una presa su un substrato stabile per poter uscire. Ve ne sono anche piccoli modelli facilmente istallabili volti a tutelare la fauna selvatica di piccole dimensioni come anfibi, piccoli mammiferi e rettili che altrimenti non riuscirebbero a uscire dall’acqua. Durante la stagione fredda, quando la struttura non è in uso è consigliato porre i liner copri piscina selezionando un modello che sia dotato di un’elevata capacità nel sorreggere il peso in caduta (Fig. 3); tale strumento si può affiancare a uno o più sistemi descritti in precedenza.
Figura 3
Link: https://flickr.com/photos/cedwardmoran/36583144694/Fonte: Flick
Autore: Chris
Diritti d’utilizzo: CC BY 4.0 DEED Attribution 4.0 International
Non solo acqua: un occhio attento sui prodotti per la manutenzione
Seppur peculiari e poco noti, potenziali pericoli possono essere rappresentati anche da taluni prodotti utilizzati per la comune manutenzione delle piscine. In bibliografia è segnalata l’ingestione di cloro granulare comunemente utilizzato per le operazioni di trattamento dell’acqua di queste. In una pubblicazione datata 2006 si descrive il caso di un esemplare di Jack Russell che ha ingerito un cucchiaio di sali d’ipoclorito formulato per piscine. A differenza della casistica nell’uomo, l’avvelenamento da ipoclorito è poco segnalato negli animali. Le formulazioni in polvere per piscine spesso contengono più del 50% d’ipoclorito in genere sottoforma di sali di calcio. A seguito dell’ingestione di sali d’ipoclorito si evidenziano lesioni mucosali ed erosive a carico di tessuti e organi dell’apparato digerente, a partire da lingua e labbra. Un’attenta anamnesi prestando attenzione anche ai parametri sensoriali quali l’odore orale emanato, possono indirizzare verso la diagnosi. Nonostante l’azione emetica esercitata dallo stesso ipoclorito, i danni mucosali sono comuni. Nel caso oggetto d’esame non è emersa una sintomatologia sistemica, evento comunque segnalato in bibliografia. Si consiglia di trattare i pazienti colpiti seguendo le linee guida terapeutiche comuni in corso d’incidenti causati da ingestione di sostanze caustiche e disponibili nell’articolo di riferimento in bibliografia. Sempre in merito alla clorazione dell’acqua, uno studio condotto in Thailandia su 412 esemplari tra il 2008 e il 2012 ha valutato i possibili effetti dell’utilizzo di cloro nelle piscine per cani. I principali effetti collaterali delle sessioni in piscina si sono dimostrati essere la secchezza del mantello (20,63%), della cute (18,93%) e lesioni abrasive a carico delle zone ascellari (15,78%). In aggiunta si segnala arrossamento oculare (13,59%), otite (6,31%) e una minima quota di problemi respiratori (0,49%).
Persiste l’acqua e si complicano le dinamiche
Ulteriormente diverse e ben più complesse sono quelle dinamiche che entrano in gioco negli ecosistemi acquatici naturali. I pet possono entrare di propria volontà o finire accidentalmente in fiumi, laghi e in mare. In questi casi entrano in gioco numerosi fattori naturali e di potenziale rischio che si aggiungono alle peculiarità del singolo esemplare (acquaticità, caratteristiche e condizioni fisiologiche o patologiche). Questi sono correlati alle peculiarità dell’ambiente e alla stagionalità (es. temperatura dell’acqua e ipotermia) e possono non essere noti al proprietario stesso. È dunque opportuno mettere in atto comportamenti volti a diminuire il rischio fin dall’inizio dell’uscita outdoor. Oltre ad evitare la vicinanza con ambienti palesemente rischiosi come gli invasi ghiacciati, pozzi e bacini con margini ripidi, sarebbe opportuno, specie se si frequentano nuovi ambienti, tenere sempre il proprio cane al guinzaglio in passeggiata. Questo potrebbe quantomeno evitare improvvise fughe verso l’acqua. Bisogna inoltre evitare l’ingresso in acqua del pet in corso di digestione e avere dimestichezza con le peculiarità e la morfologia dei bacini d’acqua dolce o del mare. Fondali limacciosi, rulli, nicchie, gorghi e correnti di risacca non rappresentano pericoli solo per i pet. Attenzione anche all’eccessiva confidenza nella conoscenza del luogo; le dinamiche acquatiche possono infatti cambiare in relazione alla stagione e alle condizioni meteo. Al fine di ridurre i rischi, al netto del contesto, domestico o naturale, è opportuno che si consigli ai proprietari far indossare sempre al proprio pet uno degli specifici modelli di giubbotto salvagente e di supporto nel nuoto (Fig. 4, Fig. 5) oggi disponibili per tutte le taglie, facili da indossare e prodotti con materiali sempre più performanti.
Figura 4
Figura 5
Link: https://flickr.com/photos/naql/7490707022/in/photolist-cpVQe5-d5cQEb-d5cR23-XJJbo3-yjuA4a-2brKMQw-8dKjZA-2tPdPQ-EUKom-uYzZM1-6zvX6r-NVg31x-hqgik-aBhQe6-6zA4iE-5fT6X1-HS6QXi-23dPD4C-21KhFFe-3Rb3Yh-L6zwM-pfdvtn-baKgAX-6zvX9B-24iDuRV-dMNfcB-24iCVfM-fQrN1Q-bYFU8b-dMTMLN-26e1Tqe-fQaesv-21KhjWi-88d3GB-fPcVMW-gLvtq2-4HGN6C-oXHG7W-EDyLNV-fxnGv1-GC4qZ2-9JFyDn-55Vmck-GaMmdQ-gbBNcU-23dTDB3-4HGKRu-EDAqS8-21xGb97-EDyKG6Fonte: Flickr
Autore naqlDiritti d’utilizzo: CC BY 4.0 DEED Attribution 4.0 International
Un rischio trasversale: approccio integrato alla sicurezza
AVIR-A è l’acronimo della sindrome d’annegamento nota nel mondo anglosassone come “Aquatic Victim Instead of Rescuer– Animal’ (AVIR-A) drowning syndrome” e rappresenta il corrispettivo della sindrome nota in umana come AVIR. AVIR-A colpisce quei soccorritori che nel tentativo di salvare un animale caduto in acqua perdono la propria vita. Tale situazione è ancora troppo poco nota alla comunità ed evidenzia sia l’importanza della prevenzione del rischio sia come un’azione di salvataggio, seppur mossa da nobilissimo senso del dovere, possa rivelarsi fatale per un soccorritore. Purtroppo, tali notizie sono note anche nella cronaca nazionale; un’indagine australiana ha provato a ricostruire la casistica nazionale il 2002 e il 2016. Sono state riconosciute otto vittime, sette delle quali decedute nel tentativo di salvare un cane. Gli specchi d’acqua maggiormente coinvolti sono state i bacini d’acqua dolce con dighe e i fiumi (75%) seguiti dalle spiagge (25%). La casistica è limitata, si segnala che nella metà dei casi riconosciuti le persone erano affette da pregresse patologie ma ciò non deve essere interpretato come una maggior sicurezza per i soccorritori in condizioni di salute ideale in quanto entrano in gioco numerosi altri fattori per i quali si rende necessaria un’indagine trasversale molto più complessa. La tematica è poco nota e assolutamente meritoria di numerosi approfondimenti, spunti e valutazioni specifiche anche in relazione alla geografia del territorio e alla stagionalità.
Bibliografia consigliata
Bierens JJ, Lunetta P, Tipton M, Warner DS. Physiology Of Drowning: A Review. Physiology (Bethesda). 2016 Mar;31(2):147-66. doi: 10.1152/physiol.00002.2015. PMID: 26889019.
Calderwood HW, Modell JH, Ruiz BC. The ineffectiveness of steroid therapy for treatment of fresh-water near-drowning. Anesthesiology 1975;43:642–650.
Conn, Alan W. MD FRCPC; Miyasaka, Katsuyuki MD; Katayama, Masao MD; Fujita, Michio PhD; Orima, Hiromitsu PhD; Barker, Geoffrey MB FFARACS; Bohn, Desmond MB FRCPC. A canine study of cold water drowning in fresh versus salt water. Critical Care Medicine 23(12):p 2029-2037, December 1995.
Fish FE, DiNenno NK, Trail J. (2021). The “dog paddle”: Stereotypic swimming gait pattern in different dog breeds. Anat Rec. ; 304: 90–100. https://doi.org/10.1002/ar.24396
Heffner GG, Rozanski EA, Beal MW, Boysen S, Powell L, Adamantos S. Evaluation of freshwater submersion in small animals: 28 cases (1996-2006). J Am Vet Med Assoc. 2008 Jan 15;232(2):244-8. doi: 10.2460/javma.232.2.244. PMID: 18275392.
Hofmeister AS, Heseltine JC, Sharp CR. (2006). Toxicosis associated with ingestion of quick-dissolve granulated chlorine ina dog. J Am Vet Med Assoc. 2006 Oct 15;229(8):1266-9. doi: 10.2460/javma.229.8.1266. PMID: 17042728.
McEwen BJ, Gerdin J. Veterinary Forensic Pathology: Drowning and Bodies Recovered From Water. Vet Pathol. 2016 Sep;53(5):1049-56. doi: 10.1177/0300985815625757. Epub 2016 Feb 29. PMID: 26926081.
Nganvongpanit, K., & Yano, T. (2012). Side Effects in 412 Dogs from Swimming in a Chlorinated Swimming Pool. The Thai Journal of Veterinary Medicine.
Pearn J, Peden, AE e Franklin, RC (2020) "Drowning of Pet Owners during Attempted Animal Rescues: The AVIR-A Syndrome," International Journal of Aquatic Research and Education: Vol. 12 : No. 2 , Article 8. DOI: 10.25035/ijare.12.02.xx
https://vectoronto.com/wp-content/uploads/2012/12/Drowning.pdf
