Tumori mammari del gatto
- Disciplina: Oncologia
- Specie: Gatto
Le neoplasie della mammella rappresentano il terzo tumore per frequenza nella gatta, dopo quelli del sistema ematopoietico e della cute, e costituiscono circa il 17% dei tumori maligni felini nella femmina e l’1-5% nel maschio6,7,49,14. A differenza di quanto avviene nel cane, circa l’85% delle lesioni mammarie è maligna18, pertanto la diagnosi precoce e l’esatta conoscenza del drenaggio linfatico ed ematico delle ghiandole è di fondamentale importanza per il raggiungimento della cura.
Recentemente anche nel gatto, così come nel cane e nell’uomo, è stato descritto il carcinoma infiammatorio42, una forma altamente maligna ma piuttosto rara.
Per determinate caratteristiche molecolari e per il comportamento degli istotipi maligni (modalità di metastatizzazione) il tumore mammario felino è considerato un buon modello per lo studio delle forme più aggressive, non ormono-dipendenti dell’analoga patologia nell’uomo31.
EZIOLOGIA E PATOGENESI
Anche nella specie felina, così come per il cane, l’influenza ormonale sembra svolgere un ruolo importante nella patogenesi. In un recente studio Overley et al. (2005), infatti, hanno dimostrato anche nel gatto l’effetto protettivo della sterilizzazione effettuata prima del 1° anno di vita nella prevenzione dei TM maligni (diminuzione del rischio dell’86%); il rischio si riduce del 91% se la sterilizzazione è effettuata prima dei 6 mesi, mentre la gravidanza, l’età al primo parto e il numero di cuccioli non rappresentano fattori di rischio. La sterilizzazione precoce (entro le 24 settimane di età), inoltre, non si è rivelata dannosa da un punto di vista comportamentale o di maggior rischio di contrarre altre patologie sistemiche12.
L’uso di progestinici sintetici o dell’associazione di estro-progestinici è inoltre stato correlato all’aumento di 3 volte del rischio di sviluppo di neoplasie mammarie benigne e maligne sia nella femmina sia nel maschio, oltre che nei felidi selvatici29,23,31,17,50,14. Questo è da imputare al fatto che i tessuti sani e quelli delle lesioni proliferative benigne esprimono bassi livelli di recettori per gli estrogeni (RE) e moderati livelli di quelli per il progesterone (RP), mentre tale espressione recettoriale è quasi completamente persa nelle forme più maligne34,28,2.
Come per la donna e il cane, inoltre, anche nella gatta alterazioni a carico di oncogeni sono correlate all’espressione più maligna dei TM. Tra questi si ricorda Her-2/neu (c-erbB-2), la cui iper-espressione si ritrova in circa il 10-40% dei carcinomi mammari dell’uomo nei quali è associato ad una prognosi peggiore51; nel gatto tale percentuale è addirittura superiore27,6,35, ad indicare la effettiva correlazione con la malignità del tumore in questa specie.
Sayasith et al. (2009) hanno inoltre dimostrato che l’enzima COX-2 è espresso nell’87% dei casi da loro esaminati, sebbene solo nel 5% a livelli molto elevati. Anche questo è in accordo con quanto osservato nel cane e nella donna e rende gli antiinfiammatori non steroidei che inibiscono selettivamente tale enzima un potenziale ausilio nella terapia del TM maligni del gatto.
Infine, anche in tessuto mammario normale e neoplastico di gatto è stato isolato il Mouse Mammary Tumor Virus (MMTV), sebbene il suo ruolo nello sviluppo dei TM non sia stato ancora completamente chiarito13.
BIOLOGIA
Sebbene qualsiasi razza possa essere colpita, è segnalata una maggior incidenza nel gatto comune e soprattutto nel Siamese, che pare avere un rischio doppio rispetto ad altre razze feline di sviluppare tumori mammari18 e può essere colpito in più giovane età. L’età media di insorgenza è 10-12 anni, leggermente più elevata nei maschi, ma la patologia può colpire soggetti anche molto giovani o molto anziani, sebbene le probabilità aumentino dopo i 6 anni18.
I dati sulla predilezione per una determinata ghiandola mammaria sono contrastanti7, pertanto si considera che qualsiasi mammella possa essere interessata dalle forme maligne, generalmente in forma multipla, con almeno il 50% dei soggetti colpiti su più ghiandole contemporaneamente. La crescita del tumore è piuttosto rapida, pertanto l’ulcerazione precoce è frequente (circa 25% dei casi) e rappresenta un carattere di malignità, così come l’adesione alla cute o alla fascia muscolare sottostante il tumore. Anche l’invasione dei vasi linfatici e il coinvolgimento linfonodale sono frequenti, sebbene l’aumento di volume dei linfonodi regionali sia un evento tardivo7. Le metastasi si sviluppano in circa l’80% dei gatti con tumori mammari maligni e colpiscono prevalentemente linfonodi regionali, polmone, pleura, fegato e, più raramente, surrene, rene, diaframma, osso9,10,11,33 (Fig. 1). Il capezzolo può apparire edematoso e da questo è talvolta possibile ottenere del secreto brunastro.
Se non trattato, le aspettative medie di vita di un gatto con TM maligno sono di circa 1 anno.
Come per il cane, la maggior dei TM felini si sviluppa dalla componente epiteliale della ghiandola, dando origine a adenomi e adenocarcinomi; solo una piccola parte origina dalla componente connettivale, ma in questi casi la malignità è spesso elevata. Esistono anche forme miste, dette carcinosarcoma o tumore misto maligno, caratterizzate dalla presenza di cellule maligne di entrambe le linee e dalla prognosi infausta. La presenza di una componente mioepiteliale è stata invece associata ad una prognosi migliore4.
A differenza del cane, però, l’istotitpo più frequentemente riscontrato è l’adenocarcinoma, che rappresenta l’80% delle forme maligne ed è a sua volta suddiviso in diversi sottotipi, con piccole variazioni tra patologi, ma di aggressività clinica sovrapponibile (Tab. 1)18. Come per il cane, un discorso a parte va fatto per il carcinoma infiammatorio, ancora più raro nel gatto.
Le forme benigne, invece, assai più rare, si distinguono a loro volta in neoplastiche (adenomi, papillomi, tumore misto benigno) e non neoplastiche (iperplasia duttale, lobulare e fibroepiteliale) (Tab. 1). Nella Tab. 1 si illustra la classificazione proposta da Misdorp (1999) e adattata da Lana (2007). In generale le forme tumorali benigne hanno una presentazione clinica simile a quelle maligne, sebbene l’età media di insorgenza sia lievemente più bassa, ma il decorso è più lento, pertanto spesso la diagnosi definitiva è ottenuta solo mediante l’esame istologico della massa asportata.
Tra le forme benigne non neoplastiche un certo interesse riveste l’iperplasia fibroepiteliale (o fibroadenomatosa, IF), a causa nel notevole impatto sulla qualità di vita dei soggetti colpiti. L’IF colpisce soprattutto gatte al raggiungimento della maturità sessuale o durante la gravidanza, a causa dell’influenza del progesterone, ma può anche riscontrarsi in gatte sterilizzate o maschi trattati con elevate dosi di medrossiprogesterone o megestrolo acetato19. Il risultato è una risposta esagerata della ghiandola mammaria allo stimolo progrestinico, che si manifesta con un aumento anche considerevole e rapido di volume dell’organo.
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Tabella 1. Classificazione istologica dei TM felini (Lana 2007 - Misdorp 1999)
DIAGNOSI
Come avviene per il cane, spesso la diagnosi è tardiva, soprattutto nei soggetti a pelo lungo e nei casi (frequenti nella gatta) di neoformazioni “a piastrone”, cioè che si presentano come un’area nodulare diffusa nel parenchima mammario, difficile da evidenziare se non con l’attenta palpazione della parte. Solo in caso di iperplasia fibroepiteliale la sintomatologia può essere eclatante, a rapida evoluzione e dominata dall’aumento di volume esagerato e repentino delle mammelle, che possono addirittura interferire con la normale deambulazione (Figg. 2a, b e c) e ulcerarsi rapidamente.
Molto importante è sempre il segnalamento, con particolare attenzione allo stato ormonale (animale sterilizzato o intero, somministrazioni di estro-progestinici, possibile accoppiamento/gravidanza in corso, età).
L’esame clinico comprende la palpazione delle due file mammarie e dei linfonodi esplorabili (ascellari, inguinali); in particolare occorre valutare attentamente il numero, le dimensioni e l’eventuale connessione con i piani muscolari profondi delle masse mammarie (Figg. 3a e b), al fine di definire la stadiazione (la “T” della stadiazione TNM della WHO38) (Tab. 2). Prima di procedere è bene valutare lo stato generale di salute dell’animale mediante l’esame emato-chimico completo, che deve prevedere anche l’esecuzione dei test per FIV e FeLV ed eventualmente un profilo coagulativo in caso di sospetto carcinoma infiammatorio, potenzialmente associato a coagulazione intravasale disseminata, nonché l’esame delle urine. Nel caso di sospetta IF in un animale non gravido è possibile valutare i tassi ematici di progesterone, oppure indagare sulla possibile presenza di residui ovarici, se la gatta è sterilizzata7.
La diagnosi e la stadiazione si completano quindi con l’esame radiografico del torace, almeno nelle due proiezioni latero-laterali, per la ricerca di metastasi e quello ecografico dell’addome per la valutazione dei linfonodi iliaci mediali, nonché per determinare la presenza di feti in caso di IF. Recentemente la valutazione del torace mediante TC ha dimostrato che la sua esecuzione di routine permette di evidenziare precocemente metastasi polmonari altrimenti non visibili ed è utile per la valutazione del linfonodo sternale, difficile da evidenziare mediante l’indagine radiografica36.
Dal momento che la maggior parte delle neoformazioni mammarie del gatto è maligna, l’esame citologico della massa primaria è raramente eseguito, mentre può essere indicato per la valutazione dei linfonodi tributari, al fine di deciderne la contestuale asportazione durante quella della fila mammaria e di fornire precocemente indicazioni prognostiche al proprietario.
La diagnosi definitiva si ha comunque solo con l’esame istologico della lesione (Figg. 4a, b e c), ottenuto durante la chirurgia terapeutica, che consente anche di valutare la completa asportazione della massa (inviare sempre l’intero pezzo asportato!).
Tabella 2. Sistema modificato di stadiazione dei tumori mammari del gatto (Owen LN, 1980)
T - Tumore primario
N - Linfonodi regionali
M - Metastasi lontane
Stadi clinici
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TERAPIA
Come per il cane, anche nel gatto la terapia di scelta per la cura del tumore mammario maligno è l’asportazione chirurgica, ad eccezione che per carcinoma infiammatorio. A differenza di questa specie, però, è sempre necessario asportare almeno l’intera fila mammaria di un lato (Figg. 5a, b e c), e possibilmente eseguire la mastectomia bilaterale. Data l’entità di tale intervento, però, quando possibile è meglio eseguirlo in due tempi, ad un mese di distanza.
Interventi più conservativi, quali la mastectomia regionale o la mammectomia, sono riservati ai casi in cui la natura benigna della lesione sia stata preventivamente accertata mediante esame istologico. L’asportazione del linfonodo inguinale è sempre contestuale a quella delle mammelle, mentre il linfonodo ascellare viene asportato solo se palpabile, mediante un’incisione addizionale, sebbene il suo aumento di volume rappresenti un fattore prognostico negativo e l’asportazione profilattica sia dibattuta18.
La necessità di eseguire interventi così aggressivi è legata all’anatomia della mammella, oltre che alla biologia del tumore, in particolare al suo apporto ematico (Fig. 6).
Questo origina dall’arteria epigastrica craniale e caudale di ciascun lato, che emettono dei rami anastomotici tra i due lati a livello dell’ombelico; le vene, satelliti delle arterie, hanno una interconnessione tra le due file superiore a quella di queste ultime48,7. La disseminazione di cellule tumorali può inoltre avvenire dalle due ghiandole toraciche attraverso le vene toraciche interne e/o i vasi intercostali25,7.
Il drenaggio linfatico, invece, è più complesso da stabilire, soprattutto in caso di presenza di neoplasie, nel qual caso può risultare differente dall’anatomia normale. Dalla revisione della letteratura44,45,7,39,40, comunque, si può stabilire che la sede primaria del drenaggio sono i linfonodi ascellari e inguinali; i primi drenano la linfa dalle due ghiandole toraciche (T1 e T2) e talvolta dalla prima addominale (A1), mentre quelli inguinali drenano A2 e talvolta A1. A differenza di quanto avviene per la vascolarizzazione, non è attualmente stata identificata una connessione tra i linfatici dei due lati, né tra le singole ghiandole; infine la diffusione metastatica ai linfonodi sternali e iliaci mediali avviene solo sporadicamente e di norma questi rappresentano la seconda stazione linfonodale, pertanto è raro il loro coinvolgimento se la stazione primaria è indenne.
L’asportazione del tumore deve spesso comprendere anche un piano fasciale sottostante e, se la massa è adesa ai piani profondi, anche la muscolatura addominale, a causa della maggior aggressività della neoplasia in questa specie animale. Nei casi in cui la parete addominale debba essere asportata a pieno spessore, la ricostruzione può avvenire sfruttando l’elasticità della muscolatura residua, oppure applicando una rete di materiale sintetico rivestita di omento.
Tutto il materiale asportato va quindi inviato al laboratorio per l’esame istologico completo di valutazione dei margini di escissione.
Sulla necessità di eseguire la concomitante ovarioisterectomia non c’è uniformità di vedute, ma l’orientamento più frequente propende per la sua irrilevanza, soprattutto in soggetti anziani18.
La guarigione della ferita avviene generalmente senza complicanze, soprattutto se la mastectomia è stata monolaterale. In caso di intervento bilaterale o di animali obesi è possibile la deiscenza parziale della ferita, che però di norma guarisce per seconda intenzione, o la formazione di sieromi.
L’utilità della chemioterapia nel trattamento dei tumori mammari felini è tuttora dibattuta. In uno studio di Jeglum et al. (1985) effettuato su gatte con tumori inoperabili, l’associazione di doxorubicina e ciclofosfamide ha portato ad una risposta del 45% e all’aumento della sopravvivenza. Questo dato positivo sembra essere confermato da Novosad et al. (2006), che hanno riportato un aumento del tempo libero da malattia nei soggetti che avevano completato il ciclo di 5 trattamenti con doxorubicina (1 mg/kg e.v. ogni 3 settimane) rispetto a quelli sottoposti ad un minor numero di cicli, sebbene l’unico dato che influenzava la sopravvivenza fossero le dimensioni iniziali del tumore. McNiell et al. (2009), invece, in uno studio comparato hanno dimostrato la grande variabilità di risposta alle terapie tra soggetti trattati con la chirurgia da sola o associata a chemioterapia, per cui esprime dubbi sulla reale efficacia di quest’ultima, se non in casi selezionati. Nello stesso anno Borrego et al. (2009) hanno riportato in uno studio retrospettivo condotto su 23 gatti che nemmeno l’associazione di chirurgia aggressiva, doxorubicina e meloxicam porta a benefici rispetto alla terapia senza inibitore COX-2.
Altri farmaci utilizzati talvolta sono vincristina e mitoxantrone, ma le segnalazioni sono sporadiche e i risultati non incoraggianti. Il 5-fluorouracile, utilizzato nella donna e nel cane, non può invece essere impiegato nel gatto in quanto associato a neurotossicità letale.
L’opinione dell’autrice è che l’impiego della doxorubicina, associata o meno a un inibitore COX, sia da consigliare solo in caso di neoplasie particolarmente aggressive o quando è segnalata la presenza di emboli vascolari o linfatici o metastasi linfonodali.
La radioterapia non è attualmente considerata ai fini della terapia dei tumori mammari felini, anche perché uno dei problemi maggiori del controllo di tali neoplasie è rappresentato dalla diffusione metastatica.
La terapia ormonale, così come altre forme di trattamento, quali quelle con immunostimolanti20, non sono attualmente da considerare nel gatto. Uno studio recente41 ha però dimostrato l’azione sinergica dell’interferone felino ricombinante-ω con le antracicline su colture di cellule di tumore mammario felino e canino.
In caso di IF, la patologia può regredire spontaneamente dopo il parto. Se l’origine del problema è stata la somministrazione di megestrolo acetato o medrossiprogesterone, tali farmaci vano immediatamente sospesi. Una buona terapia analgesica e antibiotica è indicata se sono presenti ulcerazione mammaria e edema della parte. In caso contrario l’ovariectomia, eliminando lo stimolo ormonale, porta all’involuzione del tessuto mammario ipertrofico entro un periodo variabile da 3-4 settimane a 5-6 mesi. Talvolta, però, l’intervento è difficile da eseguire a causa delle notevoli dimensioni delle mammelle, per cui l’accesso dal fianco può essere consigliato. La concomitante mastectomia può inoltre essere mal sopportata a causa dell’ingente quantità di tessuto da asportare. Per ovviare a tali inconvenienti la terapia antiprogestinica con aglepristone è attualmente consigliata7 dopo aver escluso una eventuale gravidanza, dal momento che il farmaco può avere effetti abortigeni. I protocolli per la somministrazione dell’aglepristone variano a seconda degli Autori e dell’origine del progesterone (endogeno o farmaci a lunga azione); Weherend et al., (2001) consigliano la dose di 10 mg/kg per via sottocutanea per 4-5 giorni consecutivi, Gorlinger et al. (2002) ritengono che, se l’origine del problema è iatrogena, un dosaggio di 20 mg/kg una volta la settimana fino a remissione sia appropriato. Jurka e Max (2011), infine, propongono 10 mg/kg per 2 giorni consecutivi, da ripetere poi una volta la settimana fino a remissione, che mediamente avviene entro 3-4 settimane.
PROGNOSI
Mentre per le forme benigne e l’IF la prognosi è buona dopo asportazione chirurgica o trattamento farmacologico della IF, per l’adenocarcinoma l’elevato rischio di diffusione metastatica (a polmone o linfonodi regionali) la rende riservata nella maggior parte dei casi.
Tra i fattori di rischio importanti nel trattamento dei TM felini vi sono:
- dimensioni del tumore: masse superiori ai 3 cm di diametro hanno prognosi peggiore, sia nella femmina sia nel maschio49. La sopravvivenza mediana di gatti in stadio T1 e T2 è infatti di 54 e 24 mesi rispettivamente20, mentre per quelli in stadio T3 scende a 4-12 mesi52.
- grado istologico: in uno studio compiuto su 92 carcinomi, Seixas et al. (2011) hanno evidenziato come nella maggior parte dei casi (47,8%) si tratti di forme altamente invasive (G3) e che vi è una associazione significativa tra grado istologico, età dell’animale, dimensioni del tumore e ulcerazione cutanea. Il grado istologico, inoltre, era significativamente associato alla sopravvivenza mediana, pari a 6 mesi per gatte con tumori G3 e 36 mesi per quelle con lesioni G1. La sopravvivenza più lunga era associata a carcinomi complessi e tubulo papillari, quella più breve a carcinomi solidi e micropapillari. Nello stesso lavoro si riportava una sopravvivenza minore in caso di presenza di emboli neoplastici e coinvolgimento linfonodale alla presentazione.
- espressione di ki-67: è riportata una correlazione positiva tra aumento dell’espressione di questo indice di proliferazione cellulare e diminuzione della sopravvivenza3,47.
- estensione della chirurgia: sebbene alcuni studi52 riportino che l’estensione della chirurgia non influisca sulla sopravvivenza, altri Autori21,33 hanno dimostrato una sopravvivenza maggiore in gatte sottoposte a mastectomia bilaterale rispetto a quelle che hanno subito un intervento monolaterale (rispettivamente 917 e 348 giorni). Dato il comportamento aggressivo della neoplasia, in attesa di ulteriori conferme, è opinione dell’autrice che la chirurgia radicale sia da preferire nella maggior parte dei casi di neoplasia mammaria del gatto.
- stadio clinico: chiaramente la presenza di metastasi all’esordio rappresenta un fatto prognostico negativo, ma anche la sede delle metastasi può avere un valore predittivo; secondo lo studio di Novosad et al. (2005), infatti, le gatte con metastasi polmonari dopo terapia hanno una sopravvivenza di 331 giorni, contro i 1500 per quelle con coinvolgimento dei soli linfonodi regionali.
- marker molecolari: come per il cane e la donna, anche nel gatto sta emergendo la correlazione tra alcuni fattori molecolari e malignità dei TM. Tra questi vanno ricordati ciclina A32, p5332, RON5, VEGF26, HER-227, STAT343, TopBP130, AKT22.
Per una descrizione più dettagliata si rimanda a sedi specifiche.
PREVENZIONE
- la sterilizzazione previene la formazione di TM maligni?
sebbene in forma meno chiara che nel cane, si sa che i tumori mammari felini sono sotto influenza ormonale. La sterilizzazione precoce è pertanto consigliata ai fini di ridurre il rischio di sviluppo di forme tumorali maligne e per prevenire l’iperplasia fibroadenomatosa.
- e la gravidanza?
la gravidanza29, il numero di gravidanze, il numero di cuccioli partoriti e l’età alla prima gravidanza non sembrano influenzare la comparsa di TM maligni. In qualche caso la gravidanza, soprattutto in soggetti giovani, può indurre la comparsa di IF.
- l’impiego di estrogeni e progestinici?
l’uso di progestinici sintetici può indurre la comparsa di IF nelle femmine, mentre l’associazione di estrogeni e progestinici ad elevato dosaggio o di progestinici somministrati continuativamente può indurre la formazione di neoplasie maligne29.
- la sterilizzazione al momento dell’asportazione del TM è utile?
mentre la sterilizzazione è sicuramente utile ai fini della prevenzione dell’IF, il suo effetto protettivo nei confronti dei tumori maligni, se effettuata in età avanzata, non è provato.
Carcinoma infiammatorio (CI)
La prima segnalazione di questa patologia nel gatto si deve a Pérez-Alenza et al. (2004). Le 3 gatte descritte erano tutte non ovariectomizzate ed erano state sottoposte a mastectomia per un tumore maligno da 1 a 4 mesi prima. L’anamnesi e i segni clinici hanno quindi fatto considerare il tumore come CI secondario. In tutti i casi si era osservata una rapida comparsa dei segni clinici, con edema ed eritema della parte, estrema dolorabilità locale, aree di ulcerazione cutanea, rigetto delle suture del precedente intervento e coinvolgimento degli arti corrispondenti. L’esame citologico della lesione effettuato in due casi evidenziava grave infiammazione con numerosi granulociti neutrofili (a differenza del cane) e la presenza di alcune cellule con caratteristiche di malignità. L’esame istologico ha poi classificato la lesione in due casi come carcinoma papillare e in uno come carcinoma tubulare, tutti di grado III. La presenza di emboli neoplastici nei linfatici del derma è caratteristica dei CI sia del cane sia del gatto, mentre in questa ultima specie è stata anche osservata una grave infiammazione del derma e del tessuto adiposo, non descritta in altre specie.
La sopravvivenza delle 3 gatte è stata di 10-45 giorni dal momento della diagnosi; tutti i soggetti sono stati soppressi a causa del rapido deteriorarsi delle condizioni generali. Nessun trattamento chirurgico o medico è attualmente consigliato per questa forma tumorale.
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